di Gianni Lannes
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«We are watching you»: “ti stiamo osservando”. Dallo spazio, infatti, qualcuno ci spia. Non si tratta di extraterrestri, ma di satelliti controllati segretamente dai governi. A confronto le intercettazioni telefoniche di spioni pubblici e privati che hanno coinvolto la Telecom (Tavaroli e soci), sembrano una bazzecola. L’aria e il cielo sono intrisi di segnali elettronici. Intercettarli è facile come raccogliere la pioggia con un secchio. Numerosi cittadini con la fedina penale immacolata, ora sono schedati elettronicamente, grazie ai prodigi di un braccio supersegreto dell’ex Sismi, specializzato in spionaggio d’ogni genere e guerra elettronica. E’ tutto documentato nei fascicoli personali: dalle credenze religiose a quelle politiche, fino alle attività professionali e del tempo libero. Siamo controllati e sorvegliati da tempo a nostra insaputa. Il presidente del Consiglio Berlusconi, se non fosse troppo distratto dalle donne – e ricattabile – dovrebbe informare subito le Commissioni parlamentari competenti: Affari costituzionali e Difesa. Signor ministro La Russa chi gestisce questa struttura, quale tipo di informazione utilizza e di quale mandato politico gode? Esistono fondati sospetti che tale sistema di spionaggio al di fuori del controllo parlamentare, possa venire utilizzato per fini difformi da quelli della sicurezza e della pace? Ma di che si tratta? Proviamo a spiegarlo, poiché il responsabile della Difesa tace inspiegabilmente. Alla stregua di Francesco Rutelli, presidente del Copasir. Nel Comitato parlamentare per la difesa della Repubblica figura pure Fabrizio Cicchitto, tessera P 2 numero 2232. Insomma una garanzia che spiega il fango gettato addosso all’integerrimo Gioacchino Genchi. E’ la struttura supersegreta e più potente mai realizzata in Italia, nata anche per intercettare – senza alcuna autorizzazione della magistratura e all’insaputa di una fetta del Parlamento italiano – particolari soggetti: magistrati, giornalisti, industriali, politici scomodi (pochi in realtà), ecologisti, ambasciatori; ma anche a chi si oppone alla guerra o all’installazione di basi militari straniere nel proprio Paese. E addirittura poliziotti, carabinieri e finanzieri rispettosi dello Stato di diritto. Una rete riservata che non fa capo ad apparati pubblici dello Stato, ma al Reparto Informazioni e Sicurezza, il servizio segreto che raggruppa i tre vecchi SIOS di forza armata e che ha il compito di accedere, captare ed elaborare qualsiasi forma elettronica di comunicazione in transito nel Mediterraneo ed anche oltre. E’ un’attività così gelosamente custodita che il capo di Stato Maggiore della Marina, Paolo La Rosa, interpellato qualche tempo fa da due parlamentari della commissione Difesa, nega addirittura l’esistenza, trincerandosi dietro il segreto di Stato. Risponde infatti La Rosa, in una lettera di cui siamo legalmente in possesso: «Con riferimento alla richiesta di autorizzazione alla visita avanzata dai parlamentari in oggetto, si comunica che non risultano in Cerveteri e nel territorio nazionale strutture denominate “Echelon Italia” – Conclude infine l’ammiraglio di squadra – Si soggiunge che in linea generale, quanto al regime delle autorizzazioni delle visite dei Parlamentari ai siti protetti dal segreto di cui all’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, vige il disposto della legge 24 giugno 1988 n. 206 e relativo regolamento d’attuazione». “Echelon” o strutture simili in Italia non esistono? Il cuore dell’Intelligence fantasma – collegato a varie stazioni di ascolto distribuite capillarmente nella Penisola – è mimetizzato all’interno di una caserma dell’esercito nel territorio di Cerveteri in provincia di Roma. Un lungo recinto e poi un muro protetto all’interno da un terrapieno, filo spinato e telecamere difendono due palazzine basse, una decina fra antenne paraboliche – in collegamento col sistema satellitare Sicral – e alcune casematte per la sorveglianza. «La base viene utilizzata attualmente come orecchio elettronico per intercettare comunicazioni radio militari e civili (Sigint), segnali elettromagnetici militari (Elint), comunicazioni via satellite (Comint), trasmissioni immagini (Imint), telefonia di vario genere» attesta la documentazione riservata dello Stato Maggiore Difesa. I messaggi vengono trasferiti, trascritti e analizzati a Roma, all’aeroporto militare di Ciampino e a Forte Braschi. Ovviamente, tutto in nome della lotta al terrorismo internazionale e della sicurezza generale. Ma al servizio di chi? In Italia non si può intercettare nessuno senza l’autorizzazione della magistratura. Nel caso dei Servizi segreti occorre il nulla osta delle Procure Generali della Repubblica presso le Corti d’Appello. L’assoluta discrezionalità e l’assenza di regole democratiche sembrano essere i tratti essenziali del RIS, peraltro mai sottoposto finora ad un controllo parlamentare. Sembra un scherzo: un organo dello Stato non sottoposto a controlli, che occupa due interi edifici a 37 km da Roma. Ma la faccenda diventa seria se si pensa che il RIS è la mente operativa dell’Intelligence italiana dove si concentra la massima mole di notizie riservate esistente nel Paese: informazioni particolari su aziende e privati cittadini. Singolare coincidenza. «L’attuale normativa sulla privacy riconosce ampie deroghe proprio ed esclusivamente per i servizi di informazione e sicurezza» dichiara Antonio Martino il 20 ottobre 2004, allora in veste di ministro della Difesa, nel corso dell’audizione presso la Commissione Affari costituzionali. E aggiunge, a tale proposito: «In questo ambito, ho indicato soluzioni strutturali per assicurare un rapporto sempre più efficace tra il Sismi ed il reparto informazioni e sicurezza dello stato maggiore della Difesa (…) Gli ambiti di competenza del Ris sono complementari a quelli del Sismi. Il Ris realizza un sistema informativo organico ed integrato, a disposizione del capo di Stato maggiore della Difesa (…) In quanto servizio specialistico a supporto diretto dello strumento militare in tutte le sue componenti, quindi non destinatario di un controllo politico diretto». Un altro riferimento ufficiale è racchiuso in uno scarno paragrafo del Libro Bianco pubblicato dal ministero della Difesa nel 2002. A pagina 41, a proposito del “R.I.S.” si legge: «I SIOS (Servizi Informazioni Operative e Situazione) di Forza Armata sono stati sciolti e l’attività informativa è stata portata a livello interforze presso lo Stato maggiore della Difesa. Il trasferimento di competenza è stato sancito dalla direttiva del Ministro della Difesa n.1/30863/14.8/97 in data 15 maggio 1997 e l’attività, dopo una fase sperimentale, ha assunto una definitiva configurazione in data 1° settembre 2000 con la costituzione del Reparto Informazioni e Sicurezza ed i dipendenti Centro Intelligence Interforze e Scuola Interforze Intelligence/Guerra Elettronica». E ancora: «L’attività di ricerca informativa e di sicurezza s’inquadra naturalmente in quella del SISMI che, operando a più ampio raggio, è in grado di fornire l’inquadramento generale della situazione ed il sostegno di riferimento con i servizi collegati. Non va peraltro trascurata la funzione di sicurezza interna svolta a tutela delle strutture ed infrastrutture militari in Patria, in stretto collegamento, in questo caso, con l’Arma dei Carabinieri e con gli organi specializzati del servizio stesso a tutti i livelli ordinativi». Chi controlla i controllori? «Il Centro Interforze di Formazione Intelligence/GE è un istituto militare, dipendente dal II Reparto Informazioni e Sicurezza (RIS) dello Stato Maggiore della Difesa – spiega una nota ministeriale – In particolare il centro provvede a qualificare ed aggiornare il personale, appartenente alla Difesa, per l’impiego nel settore dell’Intelligence. In tale ottica i corsi afferiscono in maniera peculiare a tutte le discipline dell’Intelligence (IMINT, SIGINT, HUMINT, OSINT, ACINT, MSINT) e della guerra elettronica, in funzione di quelle che sono le necessità addestrative formulate dal RIS o dagli Stati maggiori di singola Forza Armata». Computer di ultima generazione sono la mente operativa. Software ultraveloci in grado di entrare nelle nostre case, ascoltare e registrare le telefonate, setacciare la posta elettronica e le altre forme di comunicazione che viaggiano su Internet, aprire e decifrare tutto quanto viene trasmesso dalle banche dati. Penetrare nel mondo della finanza, svelare i movimenti di denaro, individuare le scelte strategiche dei gruppi industriali, rivelare notizie riservate sulle indagini giudiziarie in corso, sui politici sotto inchiesta, sui boss mafiosi sotto controllo, sui giornalisti ficcanaso. Una concentrazione senza precedenti di informazioni sensibili – inaccessibile ai parlamentari della Repubblica – gestita da un ramo speciale dei servizi segreti e conservate senza limiti di tempo. Il sistema è attualmente in grado di captare e analizzare miliardi di comunicazioni private al giorno che passano attraverso il telefono, il fax, la rete internet. Creato nel 1997 dall’ammiraglio Fulvio Martini (direttore del Sismi dal 5 maggio 1984 al 26 febbraio 1991) il RIS ha avuto come primo responsabile l’ammiraglio Sergio Biraghi. Il suo successore è stato un altro ufficiale di marina, l’ammiraglio Sirio Pianigiani. Le voci ben mimetizzate di spesa sui bilanci dell’ultimo decennio del ministero della Difesa ne documentano inequivocabilmente l’attività. Un esempio? La «costruzione di un inceneritore per documenti classificati a Udine», oppure la «realizzazione di impianto palazzina Tlc a Jacotenente» in piena Foresta Umbra, all’interno del Parco nazionale del Gargano. Quali satelliti utilizzano i servizi segreti? Il SICRAL (Sistema italiano per comunicazioni riservate ed allarmi) – costato 500 milioni di euro – è il primo satellite italiano per telecomunicazioni ideato completamente dalla Difesa e sviluppato dal consorzio Sitab (Alenia, Fiat Avio, Telespazio). Il 7 febbraio 2001 è stato posto in un’orbita geostazionaria. «Il sistema militare di osservazione da satellite HELIOS ed il sistema satellitare duale italiano COSMO Sky-Med, sono utilizzati da parte italiana tramite strutture risalenti alle responsabilità dello Stato Maggiore della Difesa, in collegamento con il Sismi» decreta il 6 marzo 2006, il ministro Martino. Humint e Sigint corrono insieme. Quando l’Intelligence si interessa a personaggi su cui non avrebbe titolo per indagare, usa la tecnica dei galleggianti: si apre cioè un fascicolo genericamente intestato a un certo affare, o ad una fonte, e poi si allegano ad esso i fascicoli galleggianti sul personaggio che interessa. Un calcolo preciso è impossibile farlo. E’ possibile ipotizzare che circa 1 milione di persone siano stata schedata dai nostri infaticabili 007 con la divisa. Molto in voga è l’abitudine di archiviare fascicoli particolarmente delicati non a Forte Braschi, ma in uffici di copertura dislocati in tutto il territorio nazionale. Tali operazioni non richiedono e nemmeno presumono che chi è oggetto delle intercettazioni stia violando la legge. Già nel ’95 venne alla luce un’attività informativa prestata negli anni 1989-91 al capo del Sismi, Martini, dal colonnello Demetrio Cogliandro: in sostanza, un’illegittima raccolta di informazioni di natura personale su uomini politici, ed esponenti del mondo finanziario, sindacale ed industriale. Il Comitato parlamentare che sovrintende all’attività dei servizi aveva esaminato la documentazione concludendo il 5 marzo 1996: «Salvo qualche nota sporadica, il contenuto delle carte è del tutto estraneo alle finalità istituzionali del Servizio (…) Essi appaiono destinati ad offrire strumenti di pressione e di ricatto (…) contro soggetti politici ben individuati (…) Sono state raccolte informazioni di ogni genere, notizie relative agli intrighi che si sviluppavano nel sistema di governo». Non è cambiato nulla. Attualmente, gli archivi dei Servizi Segreti presentano un’estensione sempre più smisurata. Nonostante il trascorrere dei decenni e malgrado ripetuti segnali d’allarme che hanno rivelato l’accumulo disinvolto di milioni di fascicoli e la loro illegale e spregiudicata utilizzazione, il materiale scottante ora viene depositato in banche dati elettroniche. Il 17 novembre 1987, l’ex ministro della Difesa, Attilio Ruffini, alla «Commissione Affari Costituzionali della Camera rivelava: «Nessun governo è in grado di controllare singolarmente i milioni di fascicoli per verificare se rientrano meno nell’ambito dei compiti istituzionali dei Servizi. Ci si deve necessariamente fidare di quanto affermano i direttori dei servizi o i loro subordinati». La situazione verrà confermata dall’ammiraglio Martini alla stessa Commissione, il primo dicembre ’87: «Quando il Presidente del Consiglio mi chiese se potevo affermare in Parlamento l’inesistenza negli archivi di qualcosa che potesse prestarsi a un giudizio negativo, gli risposi che potevo dargli questa assicurazione, sottolineando come negli archivi di Forte Braschi esistessero circa 18 milioni di pratiche». Lo “zio Sam” con Echelon ha fatto scuola anche in Italia: la base di ascolto di San Vito dei Normanni (attualmente dismessa e recentemente incendiata), in provincia di Brindisi ha registrato istante per istante la strage di Ustica (27 giugno 1980) e intercettato i sequestratori dell’Achille Lauro nel 1985. Eppure, nessuno ha mai chiesto conto in sede ufficiale alle autorità Usa il chiarimento dei misteri d’Italia. Intercettare, catalogare ed archiviare la vita di chiunque è una violazione dei diritti umani. La democrazia è costruita su diritti che prevalgono su qualsiasi interesse collettivo, individuale, economico politico e di sicurezza. Il vero problema è capire se si stia sistematicamente smantellando il concetto di privacy individuale, uno dei diritti umani più basilari.
Echelon
Ideato nel 1947. E’ un sistema di sorveglianza mondiale realizzato da alcuni Stati durante la Guerra fredda. Viene gestito da Usa, Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda (accordo Ukusa). L’infrastruttura spaziale è stata insediata nei primi anni ’60, lanciando in orbita un gran numero di satelliti spia. Responsabile di questi progetti è la National Security Agency (NSA), la più grande agenzia di intelligence nordamericana, in collaborazione con la Cia e la Nro. I centri elaborazione dati terrestri sono ubicati a Menwith Hill (Gran Bretagna) ed a Pine Gap (Australia). Anche l’Italia ha ospitato una struttura di questa rete spionistica – orecchio poi trasferita a Gioia del Colle – nella base di San Vito dei Normanni, dal 1964 fino al 1994. Negli Usa è nata nel 2001, la “Total information awareness”, una banca dati unica che ha lo scopo di raccogliere informazioni sui cittadini di tutto il mondo dal comportamento sospetto.
Enfopol
L’organizzazione, in collaborazione con l’Fbi americana, è nata ufficialmente il 23 novembre 1995 grazie a un accordo di cooperazione europeo per un sistema di controllo totale di tutti i mezzi di comunicazione. Le radici sono state sviluppate fin dal 1991 nell’ambito della conferenza di Trevi, dai ministri dell’Ue e si sono concretizzate nel 1993 a Madrid. Secondo l’associazione inglese per i diritti civili Statewatch esistono intese segrete sotto forma di “Memorandum of Understanding Concerning the Lawful Interception of Telecommunications” (Enfopol 112, 10037/95). L’Italia svolge un ruolo di primo piano all’interno del programma, perché ospita, in provincia de l’Aquila, la base terrestre di Iridium, la rete di satelliti per le comunicazioni cellulari. Enfopol coordina la collaborazione europea dei ministeri degli interni e della giustizia. E’ al di fuori dei controlli parlamentari europei.
Ucciso l'8 gennaio 1993 perché "parlava troppo"
Beppe Alfano, il professore dimenticato
Fu freddato nella sua auto da un killer solitario mentre rientrava a casa. Era corrispondente per "La Sicilia" e non ancora pubblicista. Uomo di destra, abbandonato dai compagni di partito come dagli avversari e dai giornalisti. In questi giorni in edicola il libro inchiesta di Valeria Scarletta "Ammazzate Beppe Alfano"
Era un "semplice" professore con la passione per il giornalismo o, come sarebbe più giusto dire, per la verità. Giuseppe Alfano, di 42 anni, insegnava educazione tecnica nella scuola media del paese vicino e come hobby scriveva da corrispondente per La Sicilia, il quotidiano catanese. Quando il territorio di Messina era ancora considerato "provincia babba" (cioè priva di presenza mafiosa, in linguaggio di Cosa nostra), lui si ostinava a descriverlo come una zona franca per latitanti e affari mafiosi, fiorenti proprio in virtù di quel silenzio costruito. Era un "cronista rompicoglioni" Beppe Alfano, come scrisse Riccardo Orioles nel marzo di quell'anno sui Siciliani nuovi, eppure in tasca non aveva nemmeno il tesserino professionale: è stato infatti iscritto all'Ordine dei giornalisti solo dopo la sua morte, così come è avvenuto per Peppino Impastato e Mauro Rostagno. Ha dato la vita, insomma, per cinquemila lire a pezzo e una colonnina di piombo sul giornale in sua commemorazione, per poi essere sepolto, come tanti, nell'indifferenza.
La ricostruzione dell'omicidio
Era l'8 gennaio 1993, a Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese. Beppe stava rientrando nella sua casa in via Trento. Si trovava ancora in via Marconi, la strada principale del paese, quando fu avvicinato da un uomo, forse un conoscente. Beppe accostò sulla destra, mise in folle e abbassò il finestrino del passeggero della sua Renault 9. Erano da poco passate le 23.20 quando esplosero tre colpi di pistola. A sparare fu una calibro 22, un'arma da professionisti. Fu il trentesimo omicidio mafioso quell'anno, troppi per un paese che conta appena 40mila abitanti.
In questi giorni esce in edicola il libro inchiesta di Valeria Scafetta, "Ammazzate Beppe Alfano. La storia di un giornalista sconosciuto", che mette in luce il suo impegno per la legalità e la sua passione per il giornalismo, ma anche la sua solitudine. I suoi compagni di partito lo lasciarono solo, infatti, come i suoi avversari. Alfano era un uomo di destra, vicino all'Msi prima e ad An poi, a dimostrazione che la lotta alla criminalità organizzata è trasversale agli schieramenti politici. D'altra parte "i primi a dimenticarsi dell'assassinio di mio padre - denunciò nel 2002 la figlia Sonia - sono stati proprio i responsabili della Sicilia. Fino a poche settimane prima della sentenza di Reggio Calabria abbiamo continuato a sollecitare la loro presenza nel processo (come parte civile, ndr), ma è stato inutile". In difesa della testata ha risposto il caporedattore Micio Tempio spiegando che "purtroppo la difficoltà di mandare avanti un giornale ha impedito di seguire direttamente la vicenda (processuale, ndr)".
Beppe Alfano non era un giornalista, ma ne aveva tutta la passione e l'intuito: aveva iniziato un'indagine (tuttora in corso) sul traffico internazionale di armi che passava - secondo le sue intuizioni - nella zona di Messina. Aveva forse contribuito anche alla cattura del boss Nitto Santapaola nel 1993 e aveva aperto il coperchio della massoneria deviata che speculava sul traffico di arance avvalendosi delle sovvenzioni europee. Toccava direttamente interessi di imprenditori locali, insospettabili: "Si era avvicinato ad accusare - dice la Scarletta - qualcuno che veniva considerato e forse viene tuttora ritenuto un intoccabile".
Il suo omicidio ha messo in luce la condizione dei giornalisti di provincia che spesso, senza nemmeno alcuna tutela sindacale, si sovraespongono e restano vittime di una criminalità rozza e sanguinaria.
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