domenica 29 gennaio 2012

APPUNTI DI STUDIO SU MARX E LA CRISI.


stralci da “il capitalismo e la crisi”. Scritti scelti (di Marx)
a cura di Vladimiro Giacchè.

(I pezzi in corsivo segnalati da (ndr) sono brevi note di redazione)
La crisi “impossibile” e la ricerca del colpevole.
... Marx individua nella ricerca moralistica del colpevole della crisi (lo speculatore)
l'altra faccia della medaglia della fede ingenua nell'evitabilità della crisi. Tale fede
riposa sulla convinzione che la crisi sia qualcosa di estraneo al normale
funzionamento dell'economia capitalistica. Secondo questa illusione ideologica, la
crisi viene sempre da fuori, è una patologia esterna al sistema. Quindi è dovuta ad
errori o colpe specifiche di qualcuno.
Marx: “la speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è
in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e
proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi
stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a
quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione che a sua
volta è solo un sintomo della sovrapproduzione,  appare perciò agli occhi
dell'osservatore superficiale come causa della crisi. Il successivo dissesto della
produzione non appare come conseguenza necessaria della stessa precedente
esuberanza, ma come semplice contraccolpo del crollo della speculazione”.
Alle radici delle crisi: limiti e contraddizioni del capitale
Per Marx la radice ultima delle crisi consiste nella contraddizione tra lo sviluppo
delle forze produttive sociali e i rapporti di produzione capitalistici. Il modo di
produzione capitalistico da un lato tende verso il massimo sviluppo delle forze
produttive.  D'altro lato,  i  rapporti  di  produzione e di  proprietà che lo
contraddistinguono (ossia il lavoro salariato, l'appropriazione privata della ricchezza
prodotta, e l'orientamento della produzione al profitto anzichè al soddisfacimento dei
bisogni sociali) inceppano periodicamente lo sviluppo delle stesse forze produttive,
creando sovrapproduzione di capitale (un accumulo di capitale che non riesce a
trovare adeguata valorizzazione) e sovrapproduzione di merci (un accumulo di merci
che non riescono ad essere vendute  a un prezzo tale da remunerare adeguatamente il
capitatale impiegato per produrle).
(ndr) Per il capitale la produzione ha come solo e unico scopo il plusvalore e quindi
il profitto, non gli interessa il soddisfacimento dei bisogni sociali ma neanche il
soddisfacimento dei bisogni individuali, non gli interessa la produzione di valori
d'uso se non come mezzo dalla cui vendita realizzare il profitto, che ha sua volta è
determinato dal plusvalore contenuto nelle merci prodotte.
Chiaramente parliamo di sovrapproduzione relativa di merci, perchè esse non sono
affatto sovrabbondanti rispetto ai bisogni sociali, ma lo sono rispetto alla
remunerazione del capitale investito. Per il capitale questa è la crisi, non nel senso
che non può più produrre e/o non può più vendere, ma nel senso che quanto può
realizzare dal capitale investito e dalla vendita delle merci non è per lui conveniente
per mantenere e anche aumentare i suoi profitti.
Quindi  quando noi diciamo, banalmente, che per es. l'Ilva non è vero che è in crisi,
diciamo da un lato una cosa vera secondo criteri logici, dall'altra diciamo una cosa
falsa perchè esula dalle leggi del capitale.
Scrive Marx: “non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla
popolazione esistente. Al contrario. Se ne producono troppo pochi per soddisfare in
modo decente e umano la massa della popolazione” Il punto è un altro: “vengono
prodotte troppe merci per potere, nelle condizioni di distribuzione e nei rapporti di
consumo peculiari della produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in
esse contenuti e riconvertirli in nuovo capitale”.
Sono insomma i rapporti di produzione (e quindi quelli di distribuzione e di
consumo) che caratterizzano la società capitalistica a rappresentare il principale
ostacolo allo sviluppo delle forze produttive.
La crisi è il momento in cui tale contraddizione tra forze produttive e rapporti di
produzione si manifesta, e al tempo stesso, il mezzo brutale attraverso cui si
ripristinano le condizioni di accumulazione del capitale: “le crisi sono sempre
soluzioni violente soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed eurzioni
violente che servono a ristabilire l'equilibrio turbato” (Marx).  Profitto e
accumulazioni vengono ripristinate per mezzo della distruzione di capitale e di forze
produttive: aumento della disoccupazione e quindi abbassamento dei salari, fallimenti
e quindi concentrazioni di imprese, deprezzamento di beni capitali, macchinari e
materie prime e quindi miglioramento dei margini di profitto per chi li mette in opera.
(ndr) Dal superamento delle crisi – ma diremmo anche dalla crisi stessa – il capitale
nel suo complesso ci guadagna: ha stabilito un livello salariale più basso e che resta
tale anche passata la crisi, per la crisi e in nome della crisi ha aumentato lo
sfruttamento della forza lavoro (aumento dei carichi di lavoro, aumento dell'orario
di lavoro, e quindi aumento del tempo di lavoro gratis per il capitale, aumento del
lavoro con meno operai di prima, ma anche attacco alle tutele dei lavoratori: Fiat
insegna, ecc.), questo livello non sarà riportato ai livelli precedenti, anche una volta
superata la crisi, ma farà attestare ad un nuovo livello di sfruttamento e di salari che
farà da “guida” per tutti.
Certo se il capitale nel suo complesso ci guadagna, al suo interno vi è una
distinzione, i grandi capitali ci guadagnano, i piccoli o medi possono perdere,
vengono o distrutti o assorbiti dalla concentrazione del grande capitale.
(Marx) “La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel
concetto del capitale stesso... il capitale tende a trascendere sia le barriere e i
pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale,
modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e la tradizionale
riproduzione di un vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto ciò esso è
distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le
barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l'espansione dei bisogni, la
molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e
dello spirito”.
Ma l'universalità alla quale il capitale tende irresistibilmente “trova nella sua stessa
natura ostacoli che ad un certo livello del suo sviluppo metteranno in luce che esso
stesso è l'ostacolo massimo che si oppone a questa tendenza e perciò spingono al suo
superamento”. “Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è il
fatto che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e
punto d'arrivo, come fine della produzione” (Marx)
La crisi è il momento in cui si manifestano le contraddizioni del capitalismo e i limiti
allo sviluppo del capitale che sono connaturati al capitale stesso.
(ndr) Da questo ne viene: primo, che i fautori del “mercato” (anche nel campo della
sinistra) come risolutore/regolatore della crisi arrivano quanto meno in ritardo: il
capitale ci ha pensato prima di loro; secondo che il mercato creato dal capitale ha
esso stesso un limite, che quindi accompagna le crisi non le risolve.
Secondo, il capitale per sua necessità è internazionale, è mondiale; questo fa sì che
proprio i capitalisti siano quelli che non guardano in faccia a “nessun colore della
pelle”, ma solo nel senso che distrugge barriere e pregiudizi nazionali in quanto
ostacoli davanti alla sua espansione.
Terzo, nello stesso tempo il capitale mette in ridicolo ogni tentativo di riproduzione
di un vecchio modo di vivere, di “soddisfacimento tradizionale”. Distrugge tutte le
illusorie e stupide idee dei critici moralisti del capitale, perchè ogni “vecchio modo
di vivere” è già rivoluzionato e la ruota della storia non può andare indietro, perchè
anche i settori che vengono proposti come alternativi alla disumanità del capitale nel
momento in cui il capitale ci mette i suoi tentacoli, ne fa fonte di profitto e non di
soddisfazione di bisogni e anzi se la soddisfazione dei bisogni si presenta
incompatibile con il suo profitto, distrugge i bisogni.
Queste stupidaggini che si rinnovano soprattutto nella crisi, si presentano in ultima
analisi anche reazionarie, nel senso che sono conservatrici perchè vogliono
contrastare non il limite del capitale ma il suo “merito storico”, lo sviluppo delle
forze produttive.
Un fattore essenziale delle crisi secondo Marx è rappresentato dalla capacità di
consumo dei lavoratori. Questa capacità è a suo avviso strutturalmente limitata. Per
un motivo ben preciso: il valore di ogni merce è determinato dal lavoro impiegato in
media per produrla, e i profitti del capitalista  derivano dal plusvalore, ossia dal fatto
che al lavoratore è pagato non l'equivalente dell'intero valore prodotto, ma soltanto
una parte di esso (cioè non l'intera giornata lavorativa effettivamente lavorata, ma
soltanto una sua parte)...
(ndr) Questo avviene non certo per cattiveria del capitalista, ma perchè la forza
lavoro da un lato è una merce come tutte le altre, dall'altra è una merce particolare.
Il capitalista, come spiega Marx, va sul mercato e compra la merce della forza
lavoro e la paga (come tutte le altre merci) per il tempo di lavoro necessario a
produrla (tempi di produzione per i beni per mangiare, vestirsi, riprodursi come
classe, ecc.), quindi mette al lavoro l'operaio per il tempo pattuito, per es. una
settimana, e come spiega Engels nella recensione del 1° libro de Il Capitale; “Il
capitalista mette ora al lavoro il suo operaio. Entro un determinato tempo l'operaio
avrà fornito tanto lavoro quanto ne era rappresentato nel suo salario settimanale.
Posto che il salario settimanale di un operaio rappresenti tre giornate lavorative,
l'operaio che inizia il lunedì, la sera di mercoledì ha reintegrato al capitalista
l'intero valore del salario pagato. Ma cessa allora di lavorare? Niente affatto. Il
capitalista ha comprato una settimana di lavoro e l'operaio deve lavorare ancora
anche gli ultimi tre giorni della settimana. Questo pluslavoro dell'operaio al di là del
tempo necessario alla reintegrazione del suo salario, è la fonte del plusvalore, del
profitto, del sempre crescente ingrossamento del capitale”.
... E' questa estorsione di valore supplementare che, secondo Marx, determina i
profitti del capitalista ma al tempo stesso anche i limiti della capacità di consumo dei
lavoratori. Questo perchè “i produttori, i lavoratori, possono consumare un
equivalente per il loro prodotto, soltanto finchè producono più di questo equivalente –
il plusvalore o plusprodotto. Essi devono essere sempre sovrapproduttori, produrre al
di là del loro bisogno, per poter essere consumatori o compratori entro i limiti del
loro bisogno” (Marx).
“La causa ultima di tutte le crisi effettive è pur sempre da un lato la povertà delle
masse, dall'altro l'impulso del modo di produzione capitalistico a sviluppare le forze
produttive come se la capacità di consumo assoluta della società ne rappresentasse il
limite” (Marx).
Ma... nel contesto dei rapporti capitalistici di produzione ogni politica redistributiva
incontra prima o poi dei limiti insormontabili: essa può essere posta in atto solo
fintantochè non intacchi la profittabilità del capitale.
(ndr) Certo il capitale vorrebbe che i lavoratori, le masse acquistassero più merci,
fossero buoni consumatori, ma non è certo disposto ad aumentare il salario dei
lavoratori; anzi tende costantemente e soprattutto nella crisi, in vari modo, ad
abbassarlo, scavandosi in questa maniera la fossa sotto i piedi (ma non può fare
altrimenti!). Chiede se mai ai governi di sostenere i bassi redditi dei lavoratori,
soprattutto di quelli che licenzia e per licenziarli senza grossi problemi (vedi
ammortizzatori sociali).
La caduta tendenziale del saggio di profitto.
... con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la proporzione del
capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in forza lavoro: si verifica
in altri termini, “una diminuzione relativa del capitale variabile (forza-lavoro) in
rapporto al capitale costante (macchinari, mezzi di lavoro)e quindi in rapporto al
capitale complessivo messo in movimento” (Marx). Marx definisce questo processo
anche come una progressiva crescita della “composizione organica del capitale”. Si
tratta di “un'altra espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale
del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del crescente
uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie vengono trasformate
in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro” (Marx). la diminuzione
relativa di capitale variabile in rapporto al capitale costante fa sì che a parità di
condizioni il saggio di profitto -ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale
complessivo investito nella produzione (la somma di capitale variabile e capitale
costante) – diminuisca. Questa, in sintesi, la legge della “caduta tendenziale del
saggio di profitto”.
Fattori di controtendenza
Ma la caduta del saggio di profitto è in verità una tendenza alla diminuzione e non un
crollo – tantomeno un crollo improvviso. Questo perchè la diminuzione del saggio di
profitto può essere in parte controbilanciata da altri fattori, a cominciare dalla
concentrazione dei capitali. A causa di tale concentrazione, pur calando la
proporzione del capitale variabile rispetto a quello costante, un numero maggiore di
lavoratori lavora per un singolo capitalista: aumenta quindi la massa del plusvalore e
questo fa sì che “la massa dei profitti aumenti contemporaneamente e nonostante la
caduta del saggio di profitto” (Marx).
(ndr) Ma altri e ben più importanti fattori agiscono da controtendenza (tenendo
conto che anche la concentrazione incontra un suo limite, dato dal fatto che come
aumenta il numero dei lavoratori, aumenta, sia pur meno, anche il numero dei
macchinari, aumenta il capitale costante), Marx li individua in:
1) Aumento del grado di sfruttamento del lavoro, cioè accrescimento del plusvalore,
soprattutto attraverso il prolungamento del tempo di lavoro (plusvalore assoluto) e
l'intensificazione del lavoro (plusvalore relativo)...
(ndr) oggi è evidente l'utilizzo di questi interventi da parte dei capitalisti per far
fronte alla crisi, in generale utilizzati contemporaneamente, unendo straordinari
diventati “normali”, e quindi un allungamento non “straordinario” dell'orario di
lavoro, a riduzione delle pause nella giornata lavorativa o tra un turno e l'altro - lo
stesso spostamento per es. della pausa mensa a fine turno fatto dalla Fiat, pur se non
allunga l'orario di lavoro, concentrando il tempo di lavoro aumenta di fatto il tempo
in cui nella giornata l'operaio è utilizzabile dall'azienda.
Il capitale poi, per l'intensificazione del lavoro, mette al lavoro anche fior di
scienziati, di tecnici per “inventare” sistemi sempre più micidiali per intensificare i
ritmi e i carichi di lavoro collettivi e individuali, per selezionare l'operaio pezzo per
pezzo per vedere di trarre il massimo di pluslavoro da ogni pezzo e da ogni
movimento dell'operaio. Certo anche questo ha un limite, il limite che il capitalista
non vuole trovarsi di fronte al fatto che tutti gli operai facciano la fine di quel
cavallo che a forza di provare quanto resisteva senza mangiare poi morì al suo
padrone, il capitalista vuole che la maggiorparte degli operai che hanno lavorato
oggi ritornino domani per essere sfruttati e produrre altro plusvalore (benchè
qualcuno se ne può anche perdere per strada...); ma se l'intensificazione del lavoro
unita all'allungamento della giornata lavorativa produce una umanità di invalidi,
sofferenti, purchè producano, non è un suo problema!
Tutto questo dimostra come il capitale più sviluppa le forze produttive, più
ammoderna il modo di produzione, più instaura rapporti di produzione da moderno
schiavismo, il sistema più avanzato fa profitti sulla base dei sistemi di sfruttamento
“più arretrati” (es. la fabbrica ipoa in Cina); più si espande, si globalizza, si estende
in ogni parte del mondo il modo di produzione più all'avanguardia dei paesi
imperialisti più si espandono, si globalizzano, si estendono le condizioni di lavoro in
atto nei paesi più arretrati. Si tratta di un processo inverso, per cui alle leggi più
moderne del capitale si pongono davanti le leggi più schiavistiche per i lavoratori.
Con una questione: che non solo il capitale va a spostare le sue produzioni dove già
esistono queste condizioni di supersfruttamento; non solo importa questi rapporti di
produzione dai “paesi arretrati” nel paese imperialista; ma sviluppa e “inventa” nel
proprio paese i nuovi sistemi di aumento del grado di sfruttamento della forza lavoro
(TMC2, W di Pomigliano).
2) Compressione del salario al di sotto del suo valore... per Marx “il valore della
forza lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del
possessore della forza lavoro.”. D'altra parte però questo valore è storicamente
determinato: “il volume dei cosiddetti  bisogni necessari, come pure il modo di
soddisfarli, è anch'esso un prodotto della storia... dunque la determinazione del valore
della forza lavoro, al contrario che per le altre merci, contiene un elemento storico e
morale” (Marx)... ed è indubbio che la riduzione dei salari avvenuta negli ultimi anni,
in parallelo ai processi di precarizzazione della forza lavoro, collochi i salari attuali in
molti casi nettamente al di sotto del loro valore storico medio dei 2-3 decenni
precedenti. Ciò è ancora più evidente se si tiene conto non soltanto del salario diretto,
ma anche... del salario indiretto... e differito... il prezzo che il capitalista paga per
l'utilizzo della forza lavoro è inferiore al prezzo delle sue condizioni di riproduzione.
(ndr) E' evidente come la crisi viene usata dai capitalisti per ridurre il salario, senza
tanti raggiri: se prima si facevano contratti di lavoro nazionali “svendita” che non
permettevano il recupero salariale, oggi i contratti semplicemente cominciano a non
essere fatti, a partire dal Pubblico Impiego; vengono tagliate voci del salario
falsamente presentate come accessorie, ma di fatto parte integrante del salario; le
politiche che vengono perseguite sia a livello di industriali che di parlamento per
reintrodurre delle moderne gabbie salariali, attraverso al controriforma del CCNL;
ecc.
3) Ribasso del prezzo degli elementi del capitale costante. Al riguardo Marx osserva:
“la stessa evoluzione che accresce la massa del capitale costante in rapporto a quello
variabile, riduce attraverso l'accresciuta forza produttiva del lavoro il valore degli
elementi del capitale costante, e quindi impedisce che il valore del capitale costante –
che pure cresce continuamente – cresca nella stessa proporzione in cui cresce il
volume materiale del capitale costante, cioè l'entità materiale dei mezzi di produzione
che sono messi in movimento dalla stessa forza lavoro”.
4) La sovrappopolazione relativa... pressione di un gigantesco esercito industriale di
riserva presente nei paesi emergenti: soprattutto in Asia, ma anche nell'Europa
dell'Est. Questo ha comportato una massiccia delocalizzazione di produzione
industriali verso i paesi di nuova industrializzazione... l'accentuata concorrenza di
produzioni realizzate in paesi a minor costo della forza lavoro... ha esercitato una
fortissima influenza calmieratrice sui salari dei paesi industrialmente più avanzati.
(ndr) Ma questo uso della sovrappopolazione relativa per abbassare i salari avviene
anche negli stessi paesi industriali e la crisi lo accentua. Oltre la disoccupazione
classica, negli ultimi anni vi sono due forme in cui avviene questa riduzione dei
salari: una, in vari posti di lavoro la minaccia di licenziamenti porta all'accettazione
di una riduzione dei salari, o, quella più vasta, attraverso la cassintegrazione, o
attraverso i contratti di solidarietà, o attraverso la rinuncia a richieste di difesa
salariale; l'altra, attraverso la espansione, generalizzazione dei rapporti di lavoro
precari, a tempo determinato, in tutti i settori anche in quelli della grande fabbrica
dove erano prima molto rari (la “femminilizzazione del lavoro” vuol dire che il
capitale ha generalizzato tra tutti i lavoratori condizioni di precarietà che prima
erano presenti soprattutto tra le donne lavoratrici).
5) Il commercio estero... In primo luogo, grazie a esso il volume della produzione si
accresce consentendo un ampliamento di scala della produzione e quindi una
riduzione dei suoi costi unitari: questo “rende più a buon mercato tanto gli elementi
del capitale costante, quanto quelli che formano direttamente il capitale variabile
(mezzi di sussistenza necessari” (Marx). In tal modo il commercio estero agisce in
modo favorevole all'aumento del saggio di profitto, per un verso accrescendo il
saggio di plusvalore (in quanto il valore della forza lavoro cala....) e per un altro
diminuendo il valore del capitale costante...
In secondo luogo... “i capitali investiti nel commercio estero possono fruttare un
saggio di profitto superiore” – osserva Marx – perchè qui “si concorre con merci che
sono prodotte da altri paesi con condizioni di produzione meno favorevoli e così il
paese più progredito vende le sue merci al di sopra del loro valore, benchè più a buon
mercato dei paesi concorrenti”.
In terzo luogo “per quanto d'altro lato riguarda i capitali investiti in colonia “ Marx
osserva che “essi possono fruttare saggi di profitto più elevati, perchè in quei paesi il
saggio di profitto è in generale più elevato a causa del minor sviluppo e in secondo
luogo (...) vi è un maggior sfruttamento del lavoro”.
Tutto questo però vale per il breve periodo. Gli effetti di medio-lungo periodo del
commercio estero, invece, non sono favorevoli al saggio di profitto... “lo stesso
commercio estero sviluppa il modo di produzione capitalistico e quindi la
diminuzione in patria del capitale variabile rispetto a quello costante e produce d'altro
lato sovrapproduzione in rapporto all'estero, perciò ha di nuovo alla lunga l'effetto
opposto” (Marx).
6) Aumento del capitale produttivo di interesse... (una parte crescente del capitale
viene destinata) a capitale produttivo di interesse,  ossia all'investimento in
obbligazioni o azioni (più in generale,  in attività creditizie e finanziarie).
L'importanza assunta da questo fattore negli ultimi decenni è stata notevolissima...
(ndr). Questo sesto punto spiega come l'abnorme sviluppo delle attività finanziarie,
dell'espansione del credito non è altra cosa dal capitale industriale, dal capitale
produttivo, ma è frutto delle leggi stesse del capitale e dei tentativi del capitale di
frenare la caduta del saggio di profitto – anche se la finanza poi si muove anche di
“vita propria” e in alcuni casi può come una potenza mostruosa rivoltarsi contro
singoli esponenti del sistema che l'ha generata. Quindi tutti coloro che a fronte della
crisi che ha visto al suo origine la crisi finanziaria, hanno gridato contro i finanzieri,
i banchieri in nome del capitale produttivo, sono o miopi o in malafede.
Dal boom del credito alla crisi
I cicli caratteristici del credito continuano ad alternarsi, ma con una differenza
significativa: i livelli del ricorso al credito continuano a crescere da una recessione
all'altra e da un massimo di ciclo economico all'altro. In misura sempre maggiore il
livello generale di attività economica (...) viene sostenuto da sempre maggiori
iniezioni di credito da parte del governo e da parte di enti privati.
(ndr) come i capitalisti produttivi non sono estranei alla crisi finanziaria, così non lo
è affatto il governo che dando soldi, finanziamenti “a fondo perduto” agli industriali
sotto varie forme, o dirette (vedi gli acquisti gratis di fabbriche come l'Ilva da parte
del capitale privato, le agevolazioni economiche date ad industriali per investire in
zone “svantaggiate”, ma di grande vantaggio per il capitale) o indirette (vedi sgravi,
ma anche gli stessi miliardi spesi per ammortizzatori sociali), contribuiscono ad
amplificare il credito, ad aumentare il capitale finanziario (chiamiamolo “virtuale”)
rispetto a quello reale. 
 
Le tre funzioni della finanziarizzazione
... La finanza non è la malattia, ma il sintomo della malattia e al tempo stesso la droga
che ha permesso di non avvertirla – e quindi l'ha cronicizzata.
Questa esplosione della finanza e del credito ha avuto una triplice funzione: 1)
mitigare le conseguenze della riduzione dei redditi dei lavoratori; 2) allontanare nel
tempo lo scoppio della crisi da sovrapproduzione nell'industria; 3) fornire al capitale
in crisi di valorizzazione nel settore industriale alternative di investimento a elevata
redditività. Vediamo più da vicino questi tre aspetti.
1) Credito alle famiglie... il tenore di vita delle persone con redditi medio-bassi ha
cominciato ad essere almeno in parte sganciato dall'andamento del reddito da
lavoro... ha alimentato il credito al consumo e la bolla immobiliare, consentendo a
famiglie a basso reddito di contrarre debiti relativamente a buon mercato... il risultato
era la quadratura del cerchio, il sogno di ogni capitalista: un lavoratore che vede
diminuire il proprio salario e però consuma come e più di prima.
2) Credito alle imprese... l'intervento svolto da Sergio Marchionne all'incontro della
Fiat con il governo e i sindacati del 18 giugno 2009 è molto utile per intendere questo
aspetto: “il primo grande problema del settore è quello della sovraccapacità
produttiva (...) la capacità produttiva a livello mondiale è di oltre 90 milioni di vetture
l'anno, almeno 30 milioni in più rispetto a quanto il mercato sia in grado di assorbire
in condizioni normali”... Come hanno fatto le case automobilistiche a tirare avanti in
questi anni in presenza di una sovrapproduzione di questa entità? In tre modi.
Innanzitutto spingendo sul credito al consumo per l'acquisto di autovetture... lo stesso
Marchionne ha affermato che “le autovetture finanziate in Europa sono tre su
quattro”, Poi riscadenzando i propri debiti... Infine facendo profitti non più con le
attività tradizionali ma da operazioni finanziarie.
(ndr) come si vede queste interventi, anche il “credito alle imprese”, costituiscono
poi un “debito” solo per le famiglie con redditi medio-bassi, per i lavoratori, quindi
sul medio periodo vanno ad aggravare i salari dei lavoratori, ad indebitare
enormemente le masse popolari; mentre per il capitale, soprattutto il grande
capitale, nel suo complesso – a parte alcuni singoli fallimenti, costituiscono una
possibilità di difendere i profitti punto e basta. Su questo l'esempio fatto di
Marchionne è rivelativo. Marchionne dice praticamente io su quattro vetture, per tre
se non le vendo non perdo niente; salvo però poi far pesare queste “tre autovetture”
quando deve imporre tagli al salario degli operai e aumento dello sfruttamento in
fabbrica.
3) La speculazione come mezzo per la valorizzazione del capitale... “tutte le nazioni a
produzione capitalistica vengono colte periodicamente da una vertigine nella quale
vogliono far denaro senza la mediazione del processo di produzione” (Marx).
Credito e crisi in Marx – e oggi
(Quindi) ...per Marx... grazie al credito i “limiti del consumo vengono allargati dalla
intensificazione del processo di riproduzione, che da un lato accresce il consumo di
reddito da parte degli operai e dei capitalisti, dall'altro lato si identifica con
l'intensificazione del consumo produttivo”. Inoltre il credito “spinge la produzione
capitalistica al di là dei suoi limiti” anche nel senso di porre a disposizione della
produzione “tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società”... E'
precisamente per questi motivi, osserva Marx, che il credito appare come la causa
della sovrapproduzione:”se il credito appare come la leva principale della
sovrapproduzione e dell'iperattività e della sovraspeculazione nel commercio, ciò
accade soltanto perchè il processo di riproduzione, che per sua natura è elastico, viene
qui forzato fino al suo estremo limite, e vi viene forzato proprio perchè una gran parte
del capitale sociale viene impiegata da coloro che non ne sono proprietari, che quindi
rischiano in misura ben diversa dal proprietario...”. (Il fatto, quindi) che la finanza...
utilizza il denaro di altri, per Marx non (è) una patologia ma una caratteristica di
fondo del sistema creditizio.
Però, proprio per il fatto di accelerare “lo sviluppo delle forze produttive e la
creazione del mercato mondiale” (Marx), il sistema creditizio al tempo stesso
“accelera le crisi, le violente eruzioni di questa contraddizione e quindi gli elementi
di dissoluzione del vecchio modo di produzione” (Marx).
Grazie al credito si può ben spingere la produzione oltre i limiti del consumo (ossia
dell'effettiva domanda pagante), ma alla fine il processo si inceppa e la crisi si
incarica di dimostrarci che quel limite e invalicabile. Le merci restano invendute,
cominciano i ritardi nei pagamenti, la circolazione si arresta in più punti, e tutto il
meccanismo entra in stallo.
Ecco come Marx descrive la situazione: “Fino a che il processo di riproduzione
fluisce normalmente (...) questo credito si mantiene e si amplia, e questo
ampliamento è fondato sull'ampliamento del processo stesso di riproduzione. Non
appena subentra un ristagno provocato da ritardi dei rientri, da saturazione dei
mercati, da caduta dei prezzi, la sovrabbondanza di capitale industriale persiste
sempre, ma in una forma che non gli permette di adempiere alla sua funzione. Massa
di capitale-merce, ma invendibile. Massa di capitale-fisso, ma in gran parte inattivo a
causa del ristagno della riproduzione”.
A questo punto il credito si contrae: la restrizione del credito e la richiesta di
pagamenti in contanti contribuiscono a conferire alla crisi la sua apparenza di crisi
creditizia e monetaria.
(Ma) dietro la crisi “creditizia e monetaria” (oggi si direbbe finanziaria) oltre al
fallimento di speculazioni nate nel momento di massima espansione del credito, c'è
insomma una crisi di sovrapproduzione e di realizzazione del capitale.
(Anche oggi) la crisi (è) una classica crisi di sovrapproduzione, (essa) è precedente lo
scoppio della bolla creditizia. La bolla creditizia l'ha  prima mascherata e poi,
esplodendo, ha creato l'illusione di esserne la causa...
Nella crisi, puntualmente, si è interrotto il ciclo di trasformazione della merce in
denaro e si è prodotta quella caratteristica “carestia di denaro” che trasforma il denaro
stesso, da semplice mezzo di circolazione del capitale, in “merce assoluta”, in “forma
autonoma del valore” superiore e contrapposta alle singole merci: “in periodi di
depressione, quando il credito si restringe oppure cessa del tutto, il denaro
improvvisamente si contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di
pagamento e autentica forma di esistenza del valore” (Marx).
Crisi e distruzione di capitale
... La crisi iniziata nel 2007 ha assunto col passare dei mesi le caratteristiche di una
vera e propria crisi generale. Attraverso di essa si è verificata una enorme distruzione
di capitale su scala mondiale. La distruzione di capitale che si verifica nelle crisi non
è per Marx un accidente, ma una condizione necessaria al fine di ripristinare
condizioni più elevate di redditività del capitale investito.
Questa distruzione è di due tipi.
la distruzione di “capitale reale”. “in quanto il processo di riproduzione si arresta, il
processo lavorativo viene limitato o talvolta interamente arrestato, viene distrutto
capitale reale. Il macchinario che non viene usato non è capitale. Il lavoro che non
viene sfruttato equivale a produzione perduta. materia prima che giace inutilizzata
non è capitale. Costruzioni che restano in utilizzate (altrettanto quanto nuovomacchinario costruito) o restano incompiute, merci che marciscono nel magazzino,
tutto ciò è distruzione di capitale” (Marx).
Questo aspetto della crisi “si risolve in una diminuzione reale della produzione, del
lavoro vivo – allo scopo di ristabilire al giusta proporzione tra lavoro necessario e
pluslavoro, su cui in ultima analisi tutto si fonda” (Marx).
Tale proporzione può può essere ristabilita in quanto la crisi comporta licenziamenti
di massa e la creazione di un esercito industriale di riserva: da questo discende una
diminuzione del potere contrattuale dei lavoratori, e pertanto un aumento della quota
del lavoro non pagato e del saggio del plusvalore.  
(ndr) Quindi si ritorna alle condizioni originarie del rapporto di produzione, del
rapporto tra capitale e lavoro salariato. Durante la crisi e per superare la crisi chi
ci perde sono solo i lavoratori e le masse popolari, con aumento dei prezzi (a causa
della distruzione di merci, quelle restanti aumentano di prezzo), indebitamento e
strozzamento da parte di usurai legali (banche) e illegali, ma soprattutto con
licenziamenti e abbassamento dei salari.
Gli analisti, economisti, borghesi, il parlamento e il governo quali comitato di affari
della borghesia, i loro commentatori e scribacchini, e, soprattutto per gli effetti
diretti che hanno nella mancanza di difesa nella crisi dei lavoratori) i sindacalisti dei
sindacati istituzionali, ecc. soprattutto nella crisi diffondono a piene mani tra la
gente, utilizzando tutti i mezzi, la favola che padroni e lavoratori stanno tutti “nella
stessa barca”, che entrambi nella crisi fanno sacrifici” e che insieme dovrebbero
superare la crisi.
A parte che la realtà, le misure adottate dal governo e dalle aziende, gli accordi dei
sindacati di regime smentiscono subito questa favola, e mostrano che i sacrifici sono,
e non possono che essere, a senso unico; ciò che è più osceno è che tentano di
nascondere il fatto che la crisi è provocata dallo stesso capitale, che il capitale per
salvare le sue sorti e tornare a fare i profitti dallo sfruttamento del lavoro salariato
non esita a distruggere mezzi di produzione, merci, anche di prima necessità, fino
alle stesse forze vive; il capitale per la sua vita non può che portare la “morte”. 
Da questo ne viene che gli operai, i lavoratori tutti, le masse popolari per la loro
vita, per impedire la distruzione di mezzi, merci, ecc. devono non volere l'uscita dalla
crisi dei capitalisti, ma la loro “morte”, la fine del sistema di produzione
capitalistico; e quindi i proletari devono passare da una condizione oggettiva,
descritta da Marx, di “becchini” della borghesia, a una situazione soggettiva per
esserlo realmente e porre effettivamente la parola fine alle crisi.   
Un secondo aspetto della distruzione di capitale è rappresentato dalla “caduta
rovinosa dei prezzi delle merci”. In questo caso “non viene distrutto nessun valore
d'uso. Ciò che perde l'uno, guadagna l'altro. Alle masse di valore operanti come
capitale viene impedito di rinnovarsi come capitale nella stessa mano. I vecchi
capitalisti fanno bancarotta” (Marx), in quanto non solo non riescono a valorizzare il
capitale anticipato per produrre quelle merci, ma le devono vendere al di sotto del
loro valore. Allo stesso modo, nella crisi “una gran parte del capitale nominale della
società, cioè del valore di scambio del capitale esistente, è distrutta una volta per
tutte, benchè proprio quella distruzione poiché essa non tocca il valore d'uso, possa
favorire molto la nuova riproduzione” (Marx).
Il decorso della crisi: l'intervento pubblico e i suoi limiti.
(Nella crisi, gli) interventi di salvataggio delle banche con denaro pubblico sono stati
definiti “socialismo per i ricchi”. Marx non ne aveva parlatop in modo molto diverso.
Ecco quanto scriveva a proposito della crisi di Amburgo del 1857: “Per tenere su i
prezzi... lo Stato dovrebbe pagare i prezzi in vigore prima dello scoppio del panico
commerciale e scontare delle cambiali che non sono più altro che il controvalore delle
bancarotte altrui. In altre parole, il patrimonio dell'intera società, che il governo
rappresenta, dovrebbe ripianare le perdite subite dai capitalisti privati. Questo genere
di comunismo, in cui la reciprocità è assolutamente unilaterale, esercita una certa
attrattiva sui capitalisti europei” (Marx).
(E giungono Marx ed Engels) “E' proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto
contro il “diritto al lavoro”, ora pretendano dappertutto “pubblico appoggio” dai
governi... facciano insomma valere il “diritto al profitto” a spese della comunità”.
(ndr) vale a dire la classica: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei
guadagni, sempre usata dai capitalisti anche oggi.
(Ma) in generale, sia Marx che Engels ritenevano che la crisi non potesse essere
risolta da interventi di politica monetaria né da leggi ad hoc o interventi pubblici a
garanzia e copertura del debito privato. Anzi in una lettera ad Engels riferita agli
sviluppi della crisi che allora imperversava in Francia, Marx accennò al fatto che
questi ultimi interventi, lungi dal risolvere la crisi, potevano portare alla bancarotta
anche lo Stato: “quando scoppia la vera e propria crisi francese, il mercato finanziario
e la garanzia di questo mercato, cioè lo Stato, se ne vanno al diavolo”...
La gigantesca trasformazione di debito privato in debito pubblico in atto, se non è
riuscita né a ridurre l'entità complessiva del debito né a rianimare l'economia, può
porre le premesse di un ulteriore crisi del debito: quella, appunto, del debito
pubblico... A questo punto il risultato che si avrebbe sarebbe una pesantissima crisi
fiscale, un'ulteriore drastica riduzione del suo ruolo nell'economia e il campo libero
lasciato alle grandi aziende multinazionali private.
(ndr) l'intervento dello Stato in soccorso dell'economia capitalista, del profitto
attraverso soprattutto misure che impoveriscono i lavoratori e le masse popolari
confermano il ruolo dello Stato è unicamente a difesa degli interessi della classe
dominante; questa difesa comporta un incremento direttamente proporzionale della
funzione repressiva dello Stato verso i proletari per prevenire o soffocare ribellioni e
lotte; oggi le misure “anticrisi” si accompagnano alla marcia verso il moderno
fascismo, allo Stato di polizia ad una risposta sempre più violenta alle giuste
rivendicazioni dei proletari e delle masse popolari colpite.
Conclusioni 
Per Marx: “nelle contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente
inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di
produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta del capitale, non in seguito a
circostanze esterne ad esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la
forma più evidente in cui gli si rende noto che ha fatto il proprio tempo e che deve far
posto ad un livello superiore di produzione sociale”. (Marx)...
... la crisi attuale non è un incidente di percorso... Questa crisi fa parte integrante del
funzionamento normale del modo di produzione capitalistico. Come ogni crisi, essa
non è in sé un problema per il capitalismo, ma il modo attraverso cui, periodicamente,
il capitalismo risolve i suoi problemi. Non nasce da imperfezioni del mercato, ma è
uno dei più potenti e perfetti prodotti del mercato stesso.
... la sola vera soluzione della crisi può venire dall'intendere che il capitalismo è il
problema e dall'operare di conseguenza: ossia per il superamento di questa “ultima
configurazione servile assunta dall'attività umana” (Marx), con l'obiettivo di far sì che
i produttori assoggettino la produzione – che oggi li sovrasta come una “legge cieca”
al “loro controllo comune come intelletto associato” (Marx).

(ndr) contro i risolutori, comunque, della crisi (dai sindacati, dai partiti di “sinistra”
riformisti al (n)Pci - Carc, affermiamo con forza questa verità e soprattutto
applichiamola!

lunedì 16 gennaio 2012

Preparativi per attaccare l’ Iran con armi nucleari. “Nessuna opzione è fuori dal tavolo”



http://it.paperblog.com/preparativi-per-attaccare-l-iran-con-armi-nucleari-nessuna-opzione-e-fuori-dal-tavolo-779969/


 Quando una guerra nucleare sponsorizzata dagli USA diventa uno” strumento di pace “, condonata e accettata dalle istituzioni mondiali e dalle più alta autorità, comprese le Nazioni Unite, non si può tornare indietro: la società umana è stata precipitata a capofitto sul sentiero dell’ auto – distruzione. “( Towards a World War III Scenario , Global Research, maggio 2011)
Preparativi per attaccare l’ Iran con armi nucleari. “Nessuna opzione è fuori dal tavolo”
Il mondo è a un bivio pericoloso. L’America è su un sentiero di guerra. 
La terza guerra mondiale non è più un concetto astratto.
Gli Stati Uniti e i suoi alleati si stanno preparando a lanciare una guerra nucleare contro l’Iran con conseguenze devastanti. 
Questa avventura militare minaccia, nel vero senso della parola, il futuro dell’umanità.
Il progetto militare globale del Pentagono è la conquista del mondo.
Il dispiegamento militare delle forze USA-NATO sta avvenendo contemporaneamente in diverse regioni del mondo.
I pretesti e le “giustificazioni” per la guerra abbondano. L’Iran è oggi annunciato come una minaccia per Israele e il Mondo.
La guerra contro l’Iran è sul tavolo del Pentagono da più di otto anni. In sviluppi recenti , sono state lanciate rinnovate minacce e accuse contro Teheran.
Una “guerra di stealth” è già iniziata. Gli agenti del Mossad sono sul terreno. Formazioni paramilitari segrete sono in fase di lancio in Iran mentre i droni della Cia sono già stati schierati.
Nel frattempo, Washington, Londra, Bruxelles e Tel Aviv hanno lanciato specifiche  iniziative destabilizzanti per soffocare l’Iran diplomaticamente, finanziariamente ed economicamente .
Il Congresso degli Stati Uniti ha formulato un regime di sanzioni economiche ancora più pesante:
 ”E’ emerso, a Washington, un consenso bipartisan favorevole a strangolare l’economia iraniana”. Ovvero consistente nell’attuazione di “un emendamento al disegno di legge di autorizzazione alla difesa 2012, progettato per “portare al collasso l’economia iraniana “… rendendo praticamente impossibile a Teheran di vendere il suo petrolio“. (Tom Burghardt,  Target Iran: Washington’s Countdown to War , Global Research, dicembre 2011). :
Questa nuova ondata di clamore diplomatico insieme alla minaccia di sanzioni economiche ha anche contribuito ad innescare un alone di incertezza nel mercato del greggio, con conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia globale.
Nel frattempo, i media hanno rinnovato la loro propaganda relativa al presunta programma nucleare iraniano, che punta ad “attività legate alla possibile militarizzazione.”
In recenti sviluppi, a fatica ammessi dai media americani, il presidente Barack Obama ha incontrato privatamente (il 16 dicembre), a porte chiuse,  il Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak. L’incontro si è tenuto alla periferia di Washington DC presso l’Hotel Gaylord, a National Harbor, Maryland, sotto gli auspici della Union for Reform Judaism .
L’importanza di questo tempistivo incontro privato sotto gli auspici della URJ non può essere sottovalutata. I resoconti suggeriscono che il faccia a faccia O.Barack / E. Barak sia stato incentrato in gran parte sulla questione di un attacco USA-Israele contro l’Iran.
Scrivendo su Haaretz, l’analista politico israeliano Amir Oren ha descritto questo incontro   come una potenziale “luce verde” per Israele nel lanciare una guerra totale contro l’Iran:
E ‘possibile che l’incontro di venerdì scorso, durato mezz’ora, presso l’Hotel Gaylord a National Harbor, nel Maryland, tra il presidente americano Barack Obama e il ministro della Difesa Ehud Barak verrà ricordato nella storia di Israele come il momento in cui Barack O. ha dato il via libera ad E. Barak – nel bene e nel male – per attaccare l’Iran .. Questo può essere visto come una sorta di flashback del colloquio tra il ministro della Difesa Ariel Sharon e il Segretario di Stato Alexander Haig a Washington nel maggio del 1982, che ha dato origine alla (erronea) impressione di Israele che ci fosse un’intesa con gli Stati Uniti per andare in guerra contro il Libano (No sign U.S. has given Israel green light to strike Iran – Haaretz Daily Newspaper | Israel News)
Dopo questo incontro privato, Obama ha tenuto un discorso alla Plenaria Biennale della  Union for Reform Judaism, per rassicurare il suo pubblico che “la cooperazione tra i nostri militari [e i servizi segreti] non è mai stata più forte.”
Obama ha evidenziato che l’Iran è una minaccia per la sicurezza di Israele, degli Stati Uniti e per il mondo … Ed è per questo che la nostra politica è stata assolutamente chiara: Siamo determinati a impedire all’Iran di acquisire armi nucleari …. Ed è per questo … abbiamo imposto le più ampie, le più dure  sanzioni che il regime iraniano abbia mai affrontato …. Ed è per questo che, posso assicurarvi, non lasceremo alcuna opzione fuori dal tavolo “. (Trascrizione - President Obama Union for Reform Judaism Speech Video Dec. 16. 2011: Address at URJ Biennial, 71st General Assembly  - enfasi aggiunta).
Verso un attacco ”coordinato” Stati Uniti-Israele contro l’Iran

Nelle ultime settimane, i tabloid statunitensi sono stati letteralmente tappezzati con le  dichiarazioni di Hillary Clinton e del segretario della Difesa Leon Panetta che “nessuna opzione è fuori dal tavolo“. Panetta ha lasciato intendere, tuttavia, “che Israele non dovrebbe prendere in considerazione un’azione unilaterale contro l’Iran“, sottolineando “che qualsiasi operazione militare contro l’Iran da parte di Israele deve essere coordinata con gli Stati Uniti e avere il suo sostegno“. (Dichiarazione del 2 dicembre di Panetta presso il Centro Saban citata in U.S. Defense Secretary: Iran could get nuclear bomb within a year – Haaretz , 11 dicembre 2011, enfasi aggiunta)
La minaccia della guerra nucleare contro l’Iran
La dichiarazione che “nessuna opzione è fuori dal tavolo” intima che gli Stati Uniti non solo prevedono un attacco all’Iran, ma che questo attacco potrebbe includere l’uso di armi nucleari tattiche Bunker Buster con una capacità esplosiva tra un terzo e sei volte la bomba di Hiroshima. Con crudele ironia, queste bombe nucleari “umanitare” e “peace-making” “Made in America” ​​- che secondo il “parere scientifico” sotto contratto del Pentagono sono “innocue per la popolazione civile circostante” – sono previste per essere usate contro l’ Iran, come rappresaglia al suo inesistente programma di armi nucleari.
Mentre l’Iran non ha armi nucleari, quello che viene raramente riconosciuto, è che i cinque (ufficialmente) “Stati non-nucleari, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Italia e Turchia, hanno  armi nucleari tattiche degli Stati Uniti sul loro territorio, sotto il comando nazionale nelle loro rispettive basi militari. Questo arsenale nucleare è previsto che possa essere utilizzato contro l’Iran.
L’ accumulo e il dispiegamento delle bombe tattiche B61 in questi cinque “stati non nucleari” è stato concepito per obiettivi in Medio Oriente. Inoltre, in conformità con i “piani d’attacco della NATO”, queste bombe termonucleari B61 bunker buster (conservate dagli “stati non nucleari”) potrebbero essere lanciate contro obiettivi in Russia o in paesi del Medio Oriente come la Siria e l’Iran (citato in  National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe , febbraio 2005, enfasi aggiunta)
Mentre questi “stati nucleari non dichiarati ‘accusano Teheran di sviluppare armi nucleari, senza alcuna prova documentale, essi stessi hanno testate nucleari, destinate a colpire l’ Iran, la Siria e la Russia. (Vedi Michel Chossudovsky,  Europe’s Five “Undeclared Nuclear Weapons States” , Global Research, 12 febbraio 2010)
Le armi nucleari di Israele  sono puntate contro l’Iran. Il  congiunto “Coordinamento”  USA-Israele per il dispiegamento delle armi nucleari
E’ Israele, piuttosto che l’Iran, una minaccia alla sicurezza globale.
Israele possiede 100-200 testate nucleari strategiche , che sono completamente schierate contro l’Iran.
Già nel 2003, Washington e Tel Aviv avevano confermato che stavano collaborando allo “ sviluppo dei missili cruise Harpoon , in dotazione degli Stati Uniti, armati con testate nucleari sui sottomarini classe Dolphin della flotta di Israele.”(The Observer, 12 October 2003) .
Secondo il generale russo Leonid Ivashov:
I circoli politici e militari israeliani stavano rilasciando dichiarazioni sulla possibilità di attacchi missilistici e nucleari contro l’Iran fin dall’ottobre 2006, quando l’idea è stata immediatamente sostenuta da G. Bush. Attualmente [2007] è propagandato sotto forma di una “necessità” di attacchi nucleari. Al pubblico viene insegnato a credere che non c’è niente di mostruoso riguardo tale possibilità e che, al contrario, un attacco nucleare è piuttosto fattibile. Presumibilmente, non c’è altro modo per “fermare” l’Iran. (General Leonid Ivashov, Iran Must Get Ready to Repel a Nuclear Attack, Global Research, January 2007 enfasi aggiunta)
Vale la pena notare che all’inizio del secondo mandato di Bush, il vice presidente Dick Cheney aveva accennato, senza mezzi termini, al fatto che l’Iran era “proprio in cima alla lista” degli stati canaglia nemici dell’America, e che Israele avrebbe, così parlando, “bombardato al posto nostro”, senza il coinvolgimento militare degli Stati Uniti e senza che noi facessimo alcun tipo pressione su di loro “per farlo”.
In questo contesto, l’ analista politico e storico Michael Carmichael ha sottolineato l’integrazione e il coordinamento delle decisioni militari tra gli Stati Uniti e Israele riguardanti il ​​dispiegamento di armi nucleari:
Piuttosto che  un attacco nucleare americano diretto contro obiettivi  iraniani,  Israele ha ricevuto il compito di lanciare un gruppo coordinato di attacchi nucleari contro obiettivi rappresentati dagli impianti nucleari nelle città iraniane di Natanz, Isfahan e Arak (Michael Carmichael, Global Research, January 2007)
“Nessuna opzione fuori dal tavolo”. Cosa significa nel contesto della pianificazione militare? L’ integrazione di sistemi convenzionali e armi nucleari
Le regole e le linee guida dei militari americani che disciplinano l’uso di armi nucleari sono state “liberalizzate” (ovvero “liberalizzate” in relazione a quelle in vigore durante la Guerra Fredda). La decisione di usare armi nucleari tattiche contro l’Iran non dipende più dal comandante in capo, vale a dire il presidente Barack Obama. Si tratta di una decisione strettamente militare. La nuova dottrina afferma che il Comando, il Controllo e il Coordinamento (CCC) per quanto riguarda l’uso di armi nucleari dovrebbe essere “flessibile”, in modo da permettere ai comandi di combattimento geografici di decidere se e quando utilizzare queste armi nucleari:
Conosciuta ufficialmente a Washington come “Joint Publication 3-12″, la nuova dottrina nucleare (Doctrine for Joint Nuclear Operations (DJNO) (marzo 2005)), chiede di “integrare gli attacchi nucleari e convenzionali” sotto un  unificato e “integrato” Comando e Controllo (C2).
Questo descrive  in gran parte la pianificazione della guerra come un processo di gestione decisionale, in cui gli obiettivi militari e strategici saranno raggiunti, attraverso un mix di strumenti, con poca preoccupazione per la perdita di vite umane.
Ciò significa che se sarà lanciato un attacco all’Iran, le armi nucleari tattiche saranno parte integrante dell’arsenale utilizzato.
Da un punto di vista decisionale militare, “nessuna opzione fuori dal tavolo” significa che i militari applicheranno “l’uso più efficiente della forza”. In questo contesto, le armi nucleari e convenzionali fanno parte di ciò che il Pentagono chiama “la cassetta degli attrezzi”, dalla quale i comandanti militari possono scegliere gli strumenti di cui hanno bisogno in conformità con le “circostanze in evoluzione” nel “teatro di guerra”. (Vedi Michel Chossudovsky, Is the Bush Administration Planning a Nuclear Holocaust?Global Research, 22 febbraio 2006)
Una volta che viene presa la decisione di lanciare un’operazione militare  (ad esempio attacchi aerei contro l’Iran), i comandanti nel teatro di guerra possono muoversi con una certa discrezionalità.  Questo significa, in pratica, che una volta che la decisione presidenziale è presa, USSTRATCOM, in collegamento con i comandanti sul campo, può decidere gli obiettivi e il tipo di armi da utilizzare. Le armi nucleari tattiche stoccate sono ormai considerate come parte integrante dell’arsenale. In altre parole, le armi nucleari sono diventate “parte della cassetta degli attrezzi”, usata in teatri di guerra convenzionali.( Michel Chossudovsky, Targeting Iran, Is the US Administration Planning a Nuclear Holocaust , Global Research, febbraio 2006, enfasi aggiunta)
L’integrazione della guerra convenzionale e nucleare 
Di notevole importanza riguardo il pianificato attacco contro l’Iran, alcuni documenti statunitensi militari puntano verso l’integrazione delle armi convenzionali e nucleari e l’uso di armi nucleari in una opzione preventiva in un teatro di guerra convenzionale.
Questa proposta di “integrazione” dei sistemi di armi tradizionali e nucleari venne formulata per la prima volta nel 2003 sotto il CONPLAN 8022. Quest’ultimo viene descritto come “un piano  per il rapido utilizzo del potenziale bellico nucleare, convenzionale, o di informazioni di guerra per distruggere – preventivamente, se necessario -” obiettivi urgenti “in tutto il mondo [tra cui l'Iran]. “ (Vedi Michel Chossudovsky,  US, NATO and Israel Deploy Nukes directed against Iran, Global Research, 27 settembre 2007). (Coordinato dal Comando Strategico degli Stati Uniti, CONPLAN è diventata operativo all’inizio del 2004. - Robert S. Norris and Hans M. Kristensen, Bulletin of Atomic Scientists ).
Il CONPLAN apre un vero e proprio vaso di Pandora militare. Si offusca la linea di demarcazione tra le armi convenzionali e quelle nucleari. Si apre la porta per l’uso preventivo, “ovunque nel mondo”, delle armi nucleari.
L’assenza di sensibilizzazione dell’opinione pubblica
La “comunità internazionale” ha approvato un attacco all’Iran in nome della pace nel mondo.
“Rendere il mondo più sicuro” è la giustificazione per lanciare un’operazione militare che potrebbe potenzialmente causare un olocausto nucleare.
Mentre si può concettualizzare la perdita di vite umane e la distruzione derivante dalle attuali guerre in Iraq e in Afghanistan, è impossibile comprendere appieno la devastazione che potrebbe derivare da una terza guerra mondiale, con l’utilizzo di “nuove tecnologie” e di armi avanzate, comprese le armi nucleari, fino a quando ciò non si verifica e diventa una realtà.
I media mainstream sono coinvolti nel blocco deliberato delle notizie e del dibattito su questi preparativi di guerra. La guerra contro l’Iran ed i pericoli di una escalation non sono considerate da “prima pagina”. I media mainstream hanno escluso l approfondimento e il dibattito sulle implicazioni di questi piani di guerra.
L’Iran non costituisce una minaccia nucleare.
La minaccia alla sicurezza globale proviene dall’alleanza militare USA-NATO-Israele che contempla – nel quadro del CONPLAN – l’uso di armi termonucleari contro uno stato non nucleare.
Con le parole del generale Ivashov, “Al pubblico viene insegnato a credere che non c’è niente di mostruoso riguardo tale possibilità“. Le armi nucleari sono “parte della cassetta degli attrezzi”.
Un attacco all’Iran avrebbe conseguenze devastanti, scatenerebbe una guerra regionale totale  dal Mediterraneo Orientale all’Asia Centrale, che potrebbe condurre l’umanità in uno scenario di Terza Guerra Mondiale.
L’amministrazione Obama rappresenta una minaccia nucleare.
La NATO costituisce una minaccia nucleare
I cinque “stati non-nucleari” europei (Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Turchia) con armi tattiche nucleari dispiegate sotto il comando nazionale, da utilizzare contro l’Iran, costituiscono una minaccia nucleare.
Il governo israeliano del primo ministro Benjamin Netanyahu, non solo costituisce una minaccia nucleare, ma anche una minaccia per la sicurezza del popolo d’Israele, il quale viene indotto in errore per quanto riguarda le implicazioni di un attacco USA-Israele contro l’Iran.
La compiacenza dell’opinione pubblica occidentale – tra cui segmenti del movimento contro la guerra negli Stati Uniti – è inquietante. Non è stata espressa alcuna preoccupazione a livello politico per le probabili conseguenze di un attacco USA-NATO-Israele contro l’Iran, usando armi nucleari contro uno Stato non nucleare.
Tale azione si tradurrebbe nell ‘impensabile”: un olocausto nucleare su gran parte del Medio Oriente.
Va notato che un incubo nucleare si sarebbe verificato anche senza l’uso di armi nucleari. Il bombardamento degli impianti nucleari iraniani con armi convenzionali può contribuire a scatenare un disastro tipo Chernobyl-Fukushima  con un’estesa ricaduta radioattiva.
Discorso di Barack Obama all’Unione of Reform Judaism – 16 Dicembre, 2011
Trascrizione (Alcuni Estratti)
“Voglio dare il benvenuto al Vice Primo Ministro di Israele e Ministro della Difesa Ehud Barak. (Applausi) La cooperazione tra i nostri militari non è mai stata più forte e voglio ringraziare Ehud per la sua leadership e il suo impegno permanente per la sicurezza di Israele e per la ricerca di una giusta e duratura pace (Applausi)
Un’altra grave preoccupazione – e che rappresenta una minaccia per la sicurezza di Israele, degli Stati Uniti e per il mondo – è il programma nucleare iraniano. Ed è per questo che la nostra politica è stata assolutamente chiara: siamo determinati ad impedire all’Iran di acquisire armi nucleari. (Applausi) Ed è per questo che abbiamo lavorato meticolosamente dal momento in cui ho assunto l’incarico con gli alleati e i partner, e abbiamo imposto le più ampie, le più dure  sanzioni che il regime iraniano abbia mai affrontato.Non abbiamo solo parlato, lo abbiamo fatto. E abbiamo intenzione di mantenere la pressione. (Applausi) Ed è per questo che, posso assicurarvi, non lasceremo alcuna opzione fuori dal tavolo. Siamo stati chiari .
Continueremo a restare al fianco dei nostri amici e alleati israeliani, proprio come abbiamo fatto quando essi avevano più bisogno di noi. Nel mese di settembre, quando una folla minacciava l’ambasciata israeliana al Cairo, abbiamo lavorato per garantire che gli uomini e le donne che lavoravano li potessero essere al sicuro. (Applausi) L’anno scorso, quando gli incendi  minacciavano Haifa, abbiamo inviato aerei antincendio per domare il fuoco.
(Applauso)
Sotto la mia Presidenza, gli Stati Uniti d’America hanno fatto da guida, da Durban alle Nazioni Unite, contro i tentativi di utilizzare i forum internazionali per delegittimare Israele. E continueremo a farlo. (Applausi) Questo è quello che amici e gli alleati devono fare l’un per l’altro. Quindi non lasciate che nessun altro racconti una storia diversa. Ci siamo stati, e continueremo ad esserci. Questi sono i fatti. “(Applausi)
LINK: Preparing to Attack Iran with Nuclear Weapons: “No Option can be taken off the Table”. 

 Global Research Articles by Michel Chossudovsky

giovedì 5 gennaio 2012

2012: l’anno del Governo Mondiale?


Reuters / Kacper Pempel

Adrian Salbuchi

http://www.asalbuchi.com.ar/
traduzione di M.F.

La Crema del potere globale privato, nascosta dentro ai principali governi, è irremovibilmente convinta di riuscire ad imporci, più prima che dopo, un Governo Mondiale. Guardiamo infatti ai 12 grandi accadimenti – veri e propri detonatori – che siamo riusciti ad individuare quali mezzi che stanno utilizzando per raggiungere i loro obbiettivi. Tutte le strade, infatti, portano ad un Governo Mondiale, e la cosa non dovrebbe sorprenderci. Il londinese Financial Times scrive apertamente di questa ipotesi in un articolo di Gideon Rachman, il proprio capo commentatore per gli affari esteri, articolo pubblicato l’8 dicembre 2009, il cui titolo parla da solo: Ed ora un Governo Mondiale. Questi obbiettivi sono rilanciati dalla Trilateral Commission, dal CFR e da membri interni al Bilderberg.

Una macro-gestione del pianeta Terra non è una cosa semplice, richiede una pianificazione tattico-strategica condotta da una rete di pensatoi alleati con le principali università delle elites, insieme a legioni di accademici, operatori, lobbisti, uomini dei media e ad un’interfaccia di funzionari governativi, tutti abbondantemente foraggiati dalla struttura che sta sopra a tutto e che è costituita dalle multinazionali e dalle banche.

La cosa è attuata in modo integrale, e tiene in conto che si muovono su livelli diversi ed a velocità molto differenti:

– i detonatori finanziari si muovono alla velocità della luce grazie alla tecnologia dell’informazione elettronica che crea e distrugge mercati, divise nazionali od intere nazioni nel giro di poche ore o pochi giorni;

– i detonatori economici si muovono più lentamente: la produzione di auto, aerei, cibo, vestiti, fabbriche e case richiede mesi;

– i detonatori politici legati al sistema democratico mettono al potere i politici per numerosi anni;

– i detonatori culturali richiedono il coinvolgimento di intere generazioni; ed è per questo motivo che la guerra psicologica ha raggiunto vette senza precedenti.

Il rischio gestionale dell’intero meccanismo include numerose trappole e sorprese impreviste; e per questo motivo, per ogni progetto, qualsiasi ne sia il campo, c’è un Piano B e poi un Piano C e quindi D, pronto ad entrare in gioco all’occorrenza.

I dodici detonatori
del Governo Mondiale

Oggi, la crema del potere globale sta chiudendo il capitolo globalizzazione e sta introducendo quello del Governo Mondiale. Parafrasando il funambolo nel Così parlò Zarathustra del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche: «... pericoloso incrociare, pericoloso vagabondare, pericoloso volgersi indietro, pericoloso ondeggiare e fermarsi... ».

Questi 12 detonatori sono fra loro interconnessi e serializzati in una matrice olistica altamente complessa, tanto flessibile nelle sue tattiche quanto rigida negli obbiettivi strategici ai quali è legata. Se lo si guarda nel suo insieme, il quadro che si dipana mostra chiaramente che il tutto è superiore alla somma delle sue parti (Gestalt, ndt).

Detonatore
numero 1
Sbriciolamento finanziario

A partire dal 2008, il Sistema Finanziario Globale si occupa del tenersi artificialmente in vita. Ben Bernanke, Timothy Geithner e la squadra economica – Robert Rubin, Larry Summers con i mega-banchieri di Goldman Sachs, CitiGroup e JPMorganChase al lavoro con la Bank of England e la BCE – non hanno preso e non prenderanno nessun provvedimento per aiutare nè le popolazioni nè le economie in difficoltà. Tutto quello che hanno fatto è stato il dirottare trilioni di dollari nelle tasche dell’elite bancaria, imponendo ai media il mito che alcune banche fossero troppo grandi per fallire (acronimo inglese: TBTF, ndt) (che nel Nuovolinguaggio Orwelliano vuol dire troppo schifosamente potenti per fallire). Ma perchè? Semplicemente perchè invece che essere il governo a controllare e supervisionare Goldman Sachs, CitiCorp, HSBC, Deutsche Bank, JPMorganChase, ecc., quello che accade è esattamente l’opposto...

Detonatore
numero 2
Crisi economiche

Oggi, il Capitalismo Estremo Distruttivo sta facendo crollare le economie nazionali e di intere regioni del pianeta, trasformandole in entità di dimensioni internazionali, simili a Gulag e composte da lavoratori-schiavi, realtà che Giuseppe Stalin avrebbe invidiato. La nostra miseria non deriva dunque dall’economia mondiale reale (praticamente intatta), ma dal falso mondo della finanza, delle banche e della speculazione.

Detonatore
numero 3
Sollevamenti Sociali

Il disfacimento di Grecia, Irlanda, Portogallo, Islanda e – prossimamente – di Italia, Spagna ed altri, scatena e scatenerà violenti sollevamenti sociali, anche in USA e UK.

Detonatore
numero 4
Pandemie

Preparatevi per altre influenze a sorpresa che porteranno a vaccinazioni obbligatorie: una elegante opportunità per infilare di nascosto dei chip RFID e verificare il funzionamento di virus intelligenti che hanno come bersaglio dei tratti specifici del DNA. Virus selettivi a livello razziale ed etnico quale parte di campagne di depopolazione di massa?

Detonatore
numero 5
Riscaldamento Globale

Mentre l’economia globale scivola nella modalità crescita zero, gli indicatori economici passano dall’aumento della crescita alla contrazione dei consumi. I carbon credits in arrivo, apriranno la strada al totale controllo della società?

Detonator
e numero 6
Mega attacchi terroristici False FlagQuesti sono degli autentici assi nella manica che le elites hanno e che possono utilizzare quali scorciatoie per il Governo Mondiale: nuovi attacchi in stile 11 settembre, potranno giustificare altre guerre globali, altre invasioni, altri genocidi? (Cosa otterranno con) Una esplosione nucleare sopra una grande città con accusati i nemici delle elites?

Detonatore
numero 7
Guerra generalizzata nel Medio-Oriente

Mentre parliamo, forze navali, bombardieri ed un intero esercito è posizionato per attaccare ed invadere Siria, Iran...

Detonatore
numero 8
Incidenti ecologico-ambientali

L’incidente nucleare di Chernobyl diede il all’inizio del crollo dell’ex Unione Sovietica, mostrando al mondo ed agli stessi sovietici, che la loro nazione non era più in grado di gestire i propri impianti nucleari. Il mese di aprile del 2010 ha visto l’eco-catastrofe della piattaforma petrolifera Deepwater Horyzon della British Petroleum, nel Golfo del Messico. Dal mese di marzo del 2011, il Giappone ed il mondo sono alle prese con un incidente atomico ben più grave verificatosi nell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi. C’è stato sabotaggio?

Detonatore
numero 9
Assassinio di leader politici
L’assassinio di un importante leader politico o religioso, sarà utile se addossato ad un nemico dell’elite. Mossad, CIA ed MI6 sono veramente in gamba nell’organizzare simili sporchi trucchi.

Detonatore
numero 10
Attacchi a nazioni canaglia

Iraq, Libia... chi è il prossimo? Iran? Siria? Venezuela? Corea del Nord?

Detonatore
numero 11
Eventi religiosi messi in scena

Il crescente bisogno delle masse di dare un significato alla propria vita le rende facili vittime di rappresentazioni in stile hollywoodiano, con raffigurazioni olografiche tridimensionali di realtà virtuale, che orchestrino una seconda venuta... Se ci fosse una figura messianica creata elettronicamente e che agisce concordemente con gli obiettivi delle elite globali... chi oserebbe andare contro Dio in persona?

Detonatore
numero 12
Contatti con alieni messi in scena

Anche questo potrebbe essere in programmazione: per decenni, grossi settori della popolazione sono stati programmati a credere negli extraterrestri. Anche in questo caso, la tecnologia olografica potrebbe mettere in scena un atterraggio di veicolo spaziale – naturalmente nel prato della Casa Bianca – evidenziando il bisogno dell’umanità di avere una unica controparte che tratti con gli extraterrestri. Un’altra giustificazione per un Governo Mondiale?

Che cosa hanno in comune tutte queste crisi concatenate fra loro? Il riscaldamento globale, le pandemie, il terrorismo internazionale, il crollo finanziario, la depressione economica e perfino i contatti con gli alieni? Tutti concorrono a dimostrare che non possono essere risolti da nessuna nazione isolatamente, e quindi giustificano il bisogno di un unico Governo Mondiale.

2012: Dobbiamo essere particolarmente vigili e comprendere le cose per quello che veramente sono e non per quello che i Padroni delle TV del mondo vorranno farci credere.