venerdì 15 marzo 2013

Brassard: è uno degli oggetti più notevoli della scrittura nuragica.


Gigi Sanna 





E' il cosiddetto 
'Brassard di Is Locci -Santus di San Giovanni Suergiu.

Scritto nell'età del bronzo con pittogrammi sardi e caratteri protocananaici ( daleth, nun, taw, zayn) è uno degli oggetti più notevoli della scrittura nuragica. 




Doveva trovarsi, secondo l'archeologo Atzeni (così scrive), nel Museo di Carbonia. Ma l'oggetto, dicono i curatori del Museo, non c'è mai passato! 



Vi offriamo il commento dell'Archeologo Atzeni: 'serie di motivi incisi di simbologia giudeo-cristiana.....manufatto di 'evidente fortuita riutilizzazione in età romana' .... " 



E per sostenere detto riutilizzo , procede proponendo simboli zoomorfi cristiani (il pesce), calca la mano su aspetti cruciformi (?) della figura di un pastore(!) che guiderebbe una strana pecora (sic!) con strane orecchie acuminate e sollevate (sic!)e, infine, offre numeri che non fanno parte nè della tradizione simbologica giudaica nè di quella cristiana.



PER LA SCIENZA ARCHEOLOGICA UFFICIALE QUESTO E' ANCORA IL DATO SCIENTIFICO!!! CHE VERGOGNA ! 





SI DICONO DELLE ORRENDE STUPIDAGGINI E NELLO STESSO TEMPO SPARISCE L'OGGETTO!


 E dal 1995 , cioè da quasi 20 anni, MAI UNA PAROLA!



Brassard 

martedì 5 marzo 2013

La stele trilingue: un pezzo di storia sarda nel museo di Torino



La stele trilingue: un pezzo di storia sarda nel museo di Torino
Stele trilingue


San Nicolò Gerrei, è uno dei principali centri della regione storica del Gerrei, situato a sud del medio Flumendosa, in un’area nella quale si alternano estesi altipiani a percorsi di fondovalle attraversati da diversi corsi d’acqua.

Nell’agro dell’antica Pauli Gerrei son state trovate tracce di attività umane risalenti al periodo prenuragico, i circoli megalitici di Monte Ixi, nuragico, la torre-capanna di Su Musuleu, Su Nuraxi e le due fonti sacre di Su Musuleu e Is Molineddos. 

A queste importanti aree sacrali, sulla scia dei rinvenimenti di costruzioni simili presenti nei demani comunali adiacenti1, si aggiunge quella di Santu Jacci, luogo in cui avvenne il ritrovamento della stele trilingue. Dalle notizie dello Spano2, del Pais e del Taramelli si deduce che questo era un spazio cultuale in cui era presente una fonte sacra costruita in tecnica megalitica, ubicata in prossimità di una sorgente. 

L’archeologo Giovanni Spano identificò davanti alla fonte un edificio monumentale costruito con grandi blocchi ben lavorati: un santuario dedicato al dio punico Eshmun. Fondamentale fu proprio il rinvenimento della stele recante un’iscrizione in tre lingue: latino, grego e punico.

La stele venne scoperta, in forma del tutto casuale, nel febbraio del 1861, dal notaio Michele Cappai, che la ritrovò sul lato destro della S.S. 387 che scende verso Ballao.
stele
L’iscrizione è un dono votivo offerto da Cleone alla divinità del luogo in riconoscenza per una grazia ricevuta.
Questa divinità guaritrice sarda sarebbe assimilata ad Eshmun, nome fenicio dell’italico Esculapio e dell’ellenico Asclepio, tutti citati con l’epiteto di Merre. I tre testi non corrispondono perfettamente l’uno all’altro. 

Si evince come la dedica fosse indirizzata, oltre che alla divinità, ad un pubblico appartenente a gruppi sociali differenti, con diversa cultura e lingua. Nel testo latino emerge come Cleone affermi di essere uno “schiavo (S.) dei soci appaltatori delle saline”; il fatto che non indichi il nome del padre e della tribù di appartenenza è indice della sua condizione sociale di servo.

Il testo punico invece ci da molte più informazioni ed è destinato ad un grande pubblico dell’ex colonia cartaginese; in questo caso Cleone non si qualifica come schiavo bensì si presenta solo come dipendente dei concessionari delle saline.

L’iscrizione greca appare invece rivolta soprattutto all’ambiente servile al quale lo stesso Cleone apparteneva, rivendicando il suo ruolo di “soprintendente delle saline” (O EPI TWN ALWN). Appare chiaro come questo personaggio dovesse essere abbastanza facoltoso e ben
inserito nella società di Cagliari data la possibilità di poter offrire un cippo bronzeo del peso di 100 libre.

L’omaggio alla divinità guaritrice fu rinvenuto, assieme ad alcune monete puniche, all’interno di quello che lo Spano identificò come un santuario quadrangolare, costruito in tecnica megalitica con grandi blocchi lavorati messi in opera senza l’utilizzo di nessun tipo di legante o malta, la cui porta d’ingresso si apriva sulla facciata ad occidente3.

Dietro al tempio sgorgava dalla roccia calcarea una sorgente d’acqua che si raccoglieva in un pozzo rotondo fatto di pietre, sempre secondo l’antica modalità costruttiva megalitica. Le analisi dell’acqua mettono in evidenza quanto questa sia ricca di minerali (alcalina bicarbonata).

La fonte terapeutica, il tempio di un dio risanatore e l’offerta votiva che ne attesta l’efficacia sono alcuni degli elementi costitutivi del culto protosardo delle acque risanatrici.

La pianta quadrangolare, che è propria dei santuari punici, ci riporta quindi all’epoca della colonizzazione cartaginese, così come Eshmun è l’equivalente e il sostituto cartaginese della divinità sarda originaria, che prima veniva venerata nell’area sacra dalle acque miracolose.

Al di là della singolare presenza di un’iscrizione trilingue del 175 a.C., attraverso una successione di momenti storici e religiosi rappresentati rispettivamente da Aesculapius, da Asklepios e da Eshmun, non è da escludere la possibilità di poter risalire alla figura e al culto del Sardus Pater, nel suo aspetto di divinità guaritrice. 

L’acqua, che fu usata in origine come mezzo magico e come strumento di pratiche ordaliche, secondo i concetti propri di un ambiente religioso primitivo, finì poi col perdere la sua virtù elementare, la quale si riversò sulla figura di un dio superiore.

L’acqua era ed è tutt’ora un rimedio provvidenziale a molti mali che attanagliavano la gente sarda. Nei lunghi periodi di siccità, quando l’aria pestilenziale, il clima malsano e le malattie infierivano nell’isola, la pioggia poteva quasi sembrare un dono divino. 

Le aree adibite a luoghi sacri, in cui gli infermi accorrevano in massa per cercare di avere la guarigione, sorgevano nei pressi delle fonti naturali o poco lontano da corsi d’acqua come nel santuario di Sardopator, sulla costa occidentale dell’isola4.

La divinità è il centro e il fulcro delle credenze religiose, tanto forti da riuscire a sopravvivere nei secoli. Questa figura arcaica germoglia nell’ambito dell’orizzonte religioso protosardo per poi fondersi e confondersi nella sue sfaccettature alle successive divinità imposte dopo le invasioni straniere nella terra di Sardegna da parte di genti semitiche, greche e romane, apportatrici di civiltà nuove, ma talvolta estranee e ostili allo spirito indigeno5.

L’uso della lingua punica, che in Africa proseguì secondo il Mastino fino all’epoca di Sant’Agostino, in Sardegna è ampiamente attestato accanto al latino e (probabilmente) al protosardo: sono infatti numerose le iscrizioni neo-puniche pervenute durante indagini archeologiche, spesso tutte successive alla distruzione di Cartagine. 

La stele non è l’unico esempio di plurilinguismo in Sardegna: di grande valore è anche la piccola base marmorea che conserva sulla faccia superiore tracce di bronzo dei piedi di una statuetta. Sui tre lati sono scolpiti in caratteri greci figure divine interpretabili probabilmente come divinità cartaginesi6.

Questi elementi dimostrano quanto queste lingue dovessero essere diffuse e vitali, affiancate probabilmente, soprattutto nelle zone interne, da una lingua locale protosarda, di cui al giorno d’oggi non sono rimaste tracce.

Dopo aver fatto dare alcune brevi notizie sul Bullettino Archeologico Sardo a nome di Pietro Martini, il canonico Spano pubblicò l’iscrizione nei famosi Atti dell’Accademia Reale delle Scienze di Torino; in seguito venne regalata al Museo delle Scienze di Torino dal Canonico Spano che ottenne con ciò la nomina a Senatore del Regno. 

L’importante reperto, così come moltissimi altri oggetti della cultura materiale sarda, è confluito nel Museo di Antichità dell’antica capitale sabauda dove tutt’oggi è custodito. Il 10 ottobre del 2009 l’allora sindaco Silvestro Furcas rivendicò la restituzione del reperto in quanto appartenente alla comunità sarda e di San Nicolò Gerrei ma non ottenne la restituzione.

Questo pezzo di storia e di arte purtroppo non è l’unico ad essere finito nelle esposizioni dei prestigiosi musei piemontesi privando quindi il panorama sardo di importanti tesori archeologici. Tanto c’è sempre l’aereo… dicono!

Notes:
  1. Silius, Funtana Crobetta, individuato sulla carta I.G.M. 1:25.000 al F° 548 sez. I “GONI”; Ballao, Funtana
    Coberta e Santa Chiara nel F° 226 I SE “BALLAO”. 
  2. Silius, Funtana Crobetta, individuato sulla carta I.G.M. 1:25.000 al F° 548 sez. I “GONI”; Ballao, Funtana Coberta e Santa Chiara nel F° 226 I SE “BALLAO”. 
  3. Il Canonico riferisce che “nel sito detto Santuiaci” si trovava un “pozzo di antica struttura per essere fabbricato a pietre” dove egli aveva visto “i ruderi di […] un tempio costruito con pietre senza cemento”. 
  4. CECCHINI 1969, p. 86. 
  5. PETTAZZONI 1912, p. 87. 
  6. Ibidem. 
  7. Le principali notizie sull’iscrizione si possono trovare in:
    MARTINI, Bullettino Archeologico Sardo 7 (1861), pp. 57-59; MARTINI, Bullettino
    Archeologico Sardo 8 (1862), pp. 24-25; GORRESIO 1862, Bullettino Archeologico Sardo 8
    (1862), pp. 25-29; SPANO, R. Accademia delle Scienze di Torino, Memorie, ser. II, (20)
    (1863), pp. 87-114; SPANO, Bullettino Archeologico Sardo 9 (1863) pp. 89-95; SPANO,
    Scoperte archeologiche fattesi nell’isola (estratti da Rivista Sarda) 1865, p. 20, 36; ID., 1866,
    p. 9; ID., 1869, p. 49; ID., 1870, p. 47-56; Corpus Inscriptiones Semiticarum, 1881, 143;PELLEGRINI, Studi d’epigrafia fenicia: Atti della R. Accademia delle Scienze di Palermo,
    1891, pp. 82-83; LIDZBARSKI, Handbuch der Nordsemitishe Epigraphik, 1898, p.427 b;
    COOKE, Textbook of North-Semitic Inscriptions, (1903) 40; LIDZBARSKI, Kanaanaische
    Inchriften, 1907, 59; PETTAZZONI, La religione primitiva in Sardegna, 1912, p.87;
    TARAMELLI, Ballao nel Gerrei, tempio protosardo scoperto in regione “Funtana Coperta”,
    1919, p. 169; PAIS, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo Romano, 1923,
    fig. 8; BIROCCHI, La monetazione Punico-Sarda, 1935, p. 77; SLOUSCHZ, Thesaurus of
    Phoenician Inscription, 1942, p. 120; LILLIU, Rapporti tra la civiltà nuragica e la civiltà
    fenicio-punica in Sardigna, 1944, p. 349; PANEDDA, L’agro di Olbia nel periodo preistorico
    punico e romano, 1954, p. 4; VAN DEN BRANDEN, Bullettin du Musée de Beyrouth 13
    (1956), p. 94; PITTAU, La romanizzazione linguistica della Sardegna e del centro montano in
    Questioni di linguistica Sarda, 1956, p. 11; SANNA, La romanizzazione del centro montano
    in Sardegna, 1957, p. 30; ROLLIG, Kanaanaische und aramaische Inschriften 66, 1964;
    GUZZO, Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in occidente, Sardegna (Studi Semitici
    28), 1967, n°9; BUONDÍ, La dominazione Cartaginese, in Storia dei Sardi e della Sardegna.
    Dalle origini alla fine dell’età bizantina, 1987, p. 201; AMADASI GUZZO, Iscrizioni fenice
    e puniche in Italia, 1990; GARBARINI, Nota sulla trilingue di S. Nicolò Gerrei (CIS I, 143)
    in Studi di Egittologia e di Antichità puniche, 9, 1991, p. 79; CURTO, Una serie di stele
    sardo-fenicie conservate a Torino, in ACQUARO, Alle soglie della classicità. Il
    Mediterraneo tra tradizione e innovazione. Studi in onore di Sabatino Moscati, 1996, pp. 639-
    663; CULASSO GASTALDI, L’iscrizione trilingue del Museo di Antichità di Torino
    (dedicante greco, ambito punico età romana) in Epigraphica, LXII, 2000, p. 11;
    PENNACCHIETTI, Un termine latino nell’iscrizione punica CIS n° 143? Una nuova
    congettura in BECCARIA-MARELLO, La parola al testo, 2001, pp. 302-315; MASTINO,
    Storia della Sardegna antica, 2005, p. 191; MANUNZA, Funtana Coberta, Tempio nuragico
    a Ballao nel Gerrei, 2008, p. 101.