Luca Liverani
www.avvenire.it Difficile davvero riuscire ad apprezzare il dato positivo. Se è vero che rispetto all’anno scorso le persone che soffrono la fame sono 98 milioni meno – erano un miliardo e 23 milioni – è altrettanto vero che nel mondo la denutrizione attanaglia ancora 925 milioni di uomini, donne, bambini. Il rapporto Sofi 2010 presentato ieri dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf, non lascia spazio a esercizi di ottimismo. Anche perché il lieve miglioramento - il 9,6% in meno, il primo calo da 15 anni - è comunque da attribuirsi alla crescita delle economie di India e Cina più che a politiche mirate. E dove il tunnel della fame è più nero, in quell’area subsahariana dove non mangia un africano su tre, non si scorge nessuna luce.
Alla presentazione nella sede dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, assieme a Diouf ci sono la direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale (Pam), Josette Sheeran e la vicepresidente del Fondo internazionale per lo Sviluppo agricolo (Ifad), Yukiko Omura. È lei che ricorda che dietro alle cifre e alle statistiche ci sono esseri umani che soffrono: «Gli affamati nel mondo non sono numeri – dice Omura – ma persone che lottano per fare crescere i propri figli, giovani che cercano di costruirsi un futuro. C’è dell’ironia nel fatto che la maggior parte di essi sia concentrata nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo: il 70% dei poveri, cioé chi vive con meno di un dollaro al giorno, vive lì. Quasi un miliardo di persone, di cui 4 su 5 sono contadini. È proprio nelle aree rurali la chiave per risolvere il problema e reagire alle variazioni del mercato. È lì il primo motore dello sviluppo».
Diouf indica una cifra: «Abbiamo bisogno di 45 miliardi di dollari l’anno di investimenti in agricoltura». Tanti? «Che cosa sono in confronto ai 1.250 di spese militari annuali?». E dire che nel 1996 il World food summit aveva stabilito di ridurre a 400 milioni gli affamati entro il 2015.
Il rapporto Sofi 2010 racconta che i due terzi delle persone sottonutrite vivono in soli 7 Paesi: Bangladesh, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Indonesia, Pakistan, ma anche nei due giganti dell’economia, Cina e India. La regione con più sottonutriti resta quindi l’Asia con 578 milioni di individui. Ma è l’Africa subsahariana la regione con la proporzione più alta di affamati, il 30%, con 239 milioni di individui. I progressi variano molto da Paese a Paese.
Nel biennio 2005-2007 in Africa subsahariana, Congo, Ghana, Mali e Nigeria avevano già raggiunto il primo degli Obiettivi del Millenio e l’Etiopia e altri sono prossimi a farlo. Ma la proporzione dei sottonutriti nella Repubblica democratica del Congo è aumentata del 69%. In Asia sono Armenia, Myanmar e Vietnam ad avere raggiunto il primo degli Obiettivi e la Cina è vicina a raggiungerlo. In America Latina e Caraibi l’hanno già raggiunto Guyana, Giamaica e Nicaragua, mentre il Brasile è vicino.
Dietro l’angolo c’è il vertice dal 20 al 22 settembre a New York, convocato per accelerare il cammino verso gli Obiettivi del Millennio. E la campagna <+corsivo>One billion hungry <+tondo>lanciata da Diouf a maggio ha raccolto 500mila firme. Per chiedere ai governanti di tutto il mondo di fare della lotta alla fame una priorità assoluta.
Alla presentazione nella sede dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, assieme a Diouf ci sono la direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale (Pam), Josette Sheeran e la vicepresidente del Fondo internazionale per lo Sviluppo agricolo (Ifad), Yukiko Omura. È lei che ricorda che dietro alle cifre e alle statistiche ci sono esseri umani che soffrono: «Gli affamati nel mondo non sono numeri – dice Omura – ma persone che lottano per fare crescere i propri figli, giovani che cercano di costruirsi un futuro. C’è dell’ironia nel fatto che la maggior parte di essi sia concentrata nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo: il 70% dei poveri, cioé chi vive con meno di un dollaro al giorno, vive lì. Quasi un miliardo di persone, di cui 4 su 5 sono contadini. È proprio nelle aree rurali la chiave per risolvere il problema e reagire alle variazioni del mercato. È lì il primo motore dello sviluppo».
Diouf indica una cifra: «Abbiamo bisogno di 45 miliardi di dollari l’anno di investimenti in agricoltura». Tanti? «Che cosa sono in confronto ai 1.250 di spese militari annuali?». E dire che nel 1996 il World food summit aveva stabilito di ridurre a 400 milioni gli affamati entro il 2015.
Il rapporto Sofi 2010 racconta che i due terzi delle persone sottonutrite vivono in soli 7 Paesi: Bangladesh, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Indonesia, Pakistan, ma anche nei due giganti dell’economia, Cina e India. La regione con più sottonutriti resta quindi l’Asia con 578 milioni di individui. Ma è l’Africa subsahariana la regione con la proporzione più alta di affamati, il 30%, con 239 milioni di individui. I progressi variano molto da Paese a Paese.
Nel biennio 2005-2007 in Africa subsahariana, Congo, Ghana, Mali e Nigeria avevano già raggiunto il primo degli Obiettivi del Millenio e l’Etiopia e altri sono prossimi a farlo. Ma la proporzione dei sottonutriti nella Repubblica democratica del Congo è aumentata del 69%. In Asia sono Armenia, Myanmar e Vietnam ad avere raggiunto il primo degli Obiettivi e la Cina è vicina a raggiungerlo. In America Latina e Caraibi l’hanno già raggiunto Guyana, Giamaica e Nicaragua, mentre il Brasile è vicino.
Dietro l’angolo c’è il vertice dal 20 al 22 settembre a New York, convocato per accelerare il cammino verso gli Obiettivi del Millennio. E la campagna <+corsivo>One billion hungry <+tondo>lanciata da Diouf a maggio ha raccolto 500mila firme. Per chiedere ai governanti di tutto il mondo di fare della lotta alla fame una priorità assoluta.
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