lunedì 4 ottobre 2010

“L’80% dell’acqua del pianeta è contaminata” Nature lancia l’allarme

ilfattoquotidiano.it
Questa è una vista della cascata dall'inizio del sentiero per il Curò, a circa 1 km dal paese di Valbondione.


Le cifre sono allarmanti: l’80% delle acque dolci del pianeta sono già contaminate o a rischio contaminazione. Da questa minaccia sono toccati circa 3,4 miliardi di persone, quasi la metà della popolazione mondiale. E la situazione rischia di peggiorare nei prossimi anni, a causa dei danni provocati dal cambiamento climatico e dalla costante crescita della popolazione.

L’allarme lo lancia un articolo scientifico pubblicato sulla rivista Nature e firmato da un’equipe di studiosi guidata da Charles Vorosmarty della City University di New York e da Peter McIntyre dell’Università del Wisconsin. Lo studio è importante perché può essere considerato quello che “per la prima volta raccoglie tutta la nostra conoscenza sotto un unico modello globale di sicurezza delle acque e perdita della biodiversità”, secondo Gary Jones, direttore dell’eWater Co-operative Researce Centre di Canberra, in Australia.

Il quadro che emerge dallo studio di Nature è quello di un pianeta in cui le risorse idriche sono sfruttate in modo complessivamente squilibrato. Attualmente l’approvvigionamento dell’acqua, potabile e non, deriva prevalentemente da un lavoro di ingegneria. Dighe, drenaggi e riserve sono il modo in cui l’uomo risolve i problemi della scarsità e dell’inquinamento delle falde. La soluzione tecnologica ha però due controindicazioni. La prima è nei costi, che per tenere la situazione in equilibrio dovrebbero aggirarsi, secondo gli autori dello studio, intorno agli 800 miliardi di dollari annui entro il 2015.

La seconda è che tali costi sono insostenibili per chi non fa parte del “club” delle nazioni industrializzate ricche o emergenti, queste ultime rappresentate dai paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina). Complessivamente non più di un miliardo di persone. Ragion per cui Vorosmarty e MacIntyre suggeriscono di puntare sulla lotta al cambiamento climatico piuttosto che sulla continua manipolazione della natura da parte dell’uomo, che rischia solo di mettere l’ ambiente ulteriormente sotto pressione.

E in Italia, quanto è grave la situazione? C’è rischio anche da noi di stress da sfruttamento idrico, dato il quadro di sprechi, e scarso rispetto dell’equilibrio ambientale? “Il modello di gestione idrica urbana deve essere profondamente rinnovato” risponde Katia Le Donne, dell’ufficio scientifico di Legambiente. L’associazione ha denunciato nel libro bianco sull’emergenza idrica del 2007 e in altri rapporti successivi, la situazione in cui versa il nostro Paese. Al 60% di acqua destinato ad usi agricoli e il 42% di perdita dai tubi colabrodo (con punte del 70% a Cosenza) di una rete di distribuzione che andrebbe completamente rinnovata si aggiunge un costo troppo basso dell’acqua (52 centesimi al metro cubo, la metà della media europea) che induce inevitabilmente allo spreco.

“Da oltre un decennio, sostiene Le Donne, ad occhi esperti di tutto il mondo, risulta sempre più chiaro che il modello di gestione delle acque nelle nostre città – basato sul ciclo: prelievo distribuzione, utilizzo, fognatura, depuratore, e re-immissione finale – non è sostenibile, perché comporta un uso eccessivo di risorse idriche di altissima qualità. Perché, ad esempio, per scaricare un WC si fa uso acqua potabile? Tutto questo genera uno spreco enorme senza ridurre l’inquinamento.

Ma lo studio Nature non rischia di essere la solita scusa degli ambientalisti per non fare nulla? “Non direi, continua Katia. La sfida della gestione della risorse idriche non si riduce alla semplice e demagogica questione: lasciamo tutta scorrere così come natura crea…questo modello anche sarebbe tanto insostenibile per quanto improponibile alle società di oggi. Al contrario chi si occupa di Ambientalismo Scientifico propone un nuovo approccio uno addirittura più complicato di quello che ci hanno proposto e imposto finora e che è altrettanto insostenibile come il primo. La via d’uscita, invece, è quella di superare l’approccio per cui prima si sommano le richieste idriche (industriali, agricole, civili) e poi si cerca disperatamente di soddisfarle”. Un buon consiglio per il pianeta a cui certo l’Italia non sfugge.

venerdì 1 ottobre 2010

La strategia dei virus influenzali

Scritto da Mauro Delogu

http://www.nuovainfluenzah1n1.info

Ecologicamente, i virus influenzali si comportano in natura come micropredatori dal ruolo eclettico. A differenza di patogeni strettamente legati a una sola specie ospite e quindi capaci di «controllare demograficamente» singole specie animali, i virus influenzali hanno sviluppato una strategia evolutiva peculiare che consente loro di accelerare la velocità di evoluzione in funzione della quantità di ospiti infettabili all’interno di una specie e di tentarne la colonizzazione di nuove anche se filogeneticamente lontane tra loro.

Possedendo un genoma segmentato diviene possibile in sede replicativa il trasferimento veloce di abilità biologiche con sede in specifici segmenti di Rna, assemblandole con altre in una infinità di molteplici combinazioni. Questa abilità trasformistica si traduce sia nella possibilità di colonizzare attraverso percorsi una moltitudine di specie di diverse classi zoologiche, sia di accumulo di mutazioni «lente» e casuali come avviene nel corso delle infezioni in popolazioni di specie serbatoio (come quelle degli uccelli acquatici, coadattate al virus e a basso numero di individui infettabili esposti al virus a cadenze per lo più stagionali legate ai cicli riproduttivi) sia attraverso il cambio repentino di affinità per le strutture e le porte di accesso all’ospite (recettori), così come avviene nelle infezioni contemporanee a opera di virus di specie appartenenti a classi diverse e con compresenza recettoriali diverse. Evolversi in questo «universo cellulare» dove i pianeti sono individui e le loro popolazioni un potenziale infinito non visibile con occhi molecolari, è tutt’altro che facile. La lotta per la sopravvivenza avviene su molti fronti: le battaglie con il sistema immunitario, con l’ambiente ostile quando il virus si trova al di fuori del corpo dell’ospite o quelle ancora più terribili degli scontri che avvengono all’interno della stessa specie virale tra nuove varianti che acquisendo nuove abilità, tramite le mutazioni, tendono a soppiantare quelle che le hanno precedute.

Va introdotto e corretto subito il termine «specie» in quanto in popolazioni così mutevoli, come quelle dei virus influenzali, il termine corretto che li definisce è quello di quasi specie, ovvero immaginando uno sciame di api è come se la media degli individui che si trovano nell’area centrale dello sciame siano più simili tra loro di quelli che si trovano alla periferia. Questa situazione è alquanto instabile perché condizionata dalla lotta tra i nuovi virus appena mutati all’interno della popolazione (varianti) che con l’incrementare del loro numero tendono a occupare le aree centrali di questa nuvola. Nelle specie di nuova colonizzazione da parte del virus, il turnover con la comparsa di nuovi individui (varianti) in forte competizione tra loro è particolarmente rapida. È alla base di tale velocità replicativa che si origina l’incremento potenziale di aggressività. Più alto è il numero di replicazioni del virus (tasso di replicazione) e maggiore diviene quello delle mutazioni (tasso di mutazione). Per un virus il cui acido nucleico è costituito da Rna, non è possibile intervenire per riparare qualsiasi errore accidentale avvenga nelle diverse fasi della sua replicazione.

Questi errori, o mutazioni, danno origine a virus nuovi (varianti) e mentre moltissimi di loro mancano delle abilità principali per un virus influenzale - e quindi destinati a estinguersi - in alcuni casi i virus mutati risultano più efficienti di quelli che li hanno originati e finiscono per sostituirli. L’efficienza va vista come abilità nel replicarsi in diversi apparati senza farsi aiutare dai sistemi enzimatici dell’ospite (tropismo) o come modificare affinità per i recettori dell’ospite come avviene nei cosiddetti «salti di specie» se i virus si muovono tra specie di una stessa classe zoologica (per esempio mammiferi-mammiferi), ma più eclatante ancora risultano i salti di classe dove i virus compiono balzi come quelli da uccelli (Aves) ai mammiferi (Mammalia). Osservando questa strategia da un nuovo punto di osservazione, da un lato i virus influenzali evolvono verso una ultraselezione sviluppando continuamente nuove varianti con infinite abilità (macroevoluzione), dall’altro il risultato ottenuto è quello di far sopravvivere una sorta di virus «superorganismo» in cui tutto il materiale genetico in costante modificazione si riconduce a una presenza stabile di questo gruppo di viventi all’interno delle popolazioni animali in lenta evoluzione (microevoluzione) nel pianeta. Questo concetto si riassume bene nella Red Queen hypothesis - in Alice nel paese delle meraviglie - dove la Regina Rossa spiega ad Alice (sbalordita di essersi ritrovata nello stesso posto da cui era partita dopo una lunga corsa) come nel suo mondo tutto questo fosse normale, così come lo è per un virus che dopo una serie infinita di mutazioni si trova a occupare in natura sempre lo stesso posto.

Partendo da questi i presupposti quale è la funzione «normale» di una Pandemia? Osservata all’interno del regno animale, la incontriamo sotto diverse forme solo apparentemente dissimili da quanto ciclicamente vediamo nell’uomo. Una delle principali situazioni attraverso cui i virus influenzali evolvono verso forme particolarmente aggressive e letali si ha quando incontrano nel loro percorso popolazioni animali (uomo incluso) di elevate dimensioni. Nel pianeta, la quantità di individui appartenenti a una specie presente in uno spazio è condizionata da numerose variabili che sommate tra loro costituiscono la capacità portante di quell’ambiente per quella specie. I predatori macro/carnivori e micro/patogeni sono alcuni degli elementi capaci di «contenere» le crescite demografiche delle specie, quando i fattori ambientali non siano sufficienti a farlo (ad esempio quando c’è continua disponibilità di cibo e acqua in specie gregarie che non competono per gli spazi). Già gli studiosi di inizio secolo avevano notato come la comparsa di devastanti epidemie influenzali negli uccelli, coinvolgessero ciclicamente il pollame domestico - in un contesto ambientale modificato rispetto a quello naturale - ma non le specie selvatiche.

Questo punto di osservazione consente di vedere come in un’economia globale di rapporti tra viventi, un evento pandemico animale o umano sia facilmente associato all’esplosione demografica di una o più specie sensibili. In questa prospettiva l’evento pandemico si scollega dal molecular clock biologico - capace di generarlo ciclicamente attraverso mutazioni spontanee in popolazioni di specie dimensionate dall’ambiente - ma aumenta potenzialmente di frequenza in relazione alla semplice disponibilità quantitativa di ospiti recettivi. Il fatto che l’uomo inteso come specie sarà probabilmente oggetto di pandemie con maggior frequenza che nel passato è una diretta conseguenza della sua abilità di modificare l’ambiente a proprio vantaggio e della necessità - per il rapido incremento demografico - di aumentare le sue risorse alimentari allevando animali che analogamente a lui rientrano nell’ecologia del virus (polli e tacchini per le influenze aviarie, suini per le influenze suine).

In passato si è osservato come l’emergenza di virus influenzali pandemici comparisse ciclicamente nelle popolazioni umane, intervallate da periodi interpandemici dell’ordine dei 20-40 anni. Nelle diverse pandemie il susseguirsi nel tempo di diversi sottotipi H prevalenti nell’uomo (H1, H2, H3) è tuttora motivato con l’instaurarsi, successivamente alla pandemia, di una diffusa immunità di popolazione che riduce l’opportunità per sottotipi analoghi a quello pandemico di circolare favorendo indirettamente i sottotipi non circolanti da più tempo. Nell’emergenza di un ceppo pandemico un elemento chiave è quello di possedere una struttura sconosciuta alle difese dell’ospite. Questo può avvenire attraverso percorsi di accumulo di mutazioni, ma è semplificato e rapido se si realizza tramite un radicale cambiamento della specie infettata. Se la distanza filogenetica che separa le classi rispetto le specie è di gran lunga maggiore, più difficoltoso risulta per un virus il percorso di adattamento necessario a una replicazione efficace. Anche se quindi i virus aviari, quali ad esempio A/H5N1, hanno la potenzialità di eseguire salti di classe, il fatto che siano confinati su chiavi di accesso alle cellule (recettori di tipo ά 2,3 caratteristici negli uccelli) ne condiziona l’evoluzione limitandone fortemente la capacità di trasmissione ad altri gruppi, che come nel caso dei mammiferi possiede prevalentemente recettori di tipo ά 2,6.

Paradossalmente replicarsi su grandi popolazioni aviarie determina un aumento dell’abilità replicativa nelle stesse e di conseguenza una ridotta efficienza nei mammiferi. Ecco perché nell’origine dei ceppi pandemici, rivestono un ruolo chiave specie quali il suino che grazie alle analogie strutturali con entrambi i gruppi, si frappone come ponte tra mammiferi e uccelli, favorendo le coinfezioni e il conseguente riassortimento virale.




Il sottotipo A/H1N1 è comune a molti gruppi ed è relativamente facile incontrarlo all’interno delle popolazioni aviarie selvatiche, così come all’interno della popolazione umana (lo ricordiamo tristemente per aver causato l’influenza Spagnola nel 1918-19). In questa sorta di coabitazione forzata tra uomo e specie allevate - collocate accanto ai serbatoi selvatici della malattia - non è quindi raro che virus presenti inizialmente su taxa diversi possano raggiungere l’uomo. Oltre ad essere uno dei componenti comuni della triade (H1, H2, H3) di virus influenzali tipica dell’uomo, altrettanto frequente è il suo rinvenimento nella specie suina. Le affinità cellulari tra uomo e suino fin dal passato hanno evidenziato come virus adattati all’uomo potessero infettare senza difficoltà gli allevamenti suini, e che viceversa da questi i virus adattati al suino si potesse infettare l’uomo. Da questo interscambio facilitato sono emersi in diverse occasioni ceppi potenzialmente pandemici. Tra questi spicca un A/H1N1 che nel 1976 nel New Jersey (Fort Dix) infettò molto velocemente 230 soldati, determinando quadri di grave compromissione respiratoria in 13 e provocando il decesso di uno. Il tutto si concluse con un interruzione spontanea dell’infezione, fatto che ad oggi non ha trovato giustificazione.

Si trattava di un virus apparentemente pandemico (infatti scattarono i piani di vaccinazione di urgenza negli Usa) che però interruppe la sua corsa sul nascere. Quale fattore è quindi determinante per dare inizio ad una Pandemia? L’A/H5N1 ha dimostrato che la patogenicità, ovvero la capacità di indurre lesioni (A/H5N1 presenta una letalità superiore al 60%), non sia di per se un elemento chiave e che maggiormente limitanti appaiono l’efficienza di replicazione e quella di trasmissione. Ognuna di queste abilità si colloca in specifici segmenti dell’Rna virale che sono oggetto di continue evoluzioni, da cui l’imprevedibilità anche nell’immediato di poter prevedere o gestire quanto accade nella popolazione virale. Quando nell’aprile del 2009 giunsero alla comunità scientifica internazionale le prime notizie da Città del Messico la preoccupazione fu subito grande perché quanto stava accadendo rientrava perfettamente nella comparsa di un nuovo ceppo pandemico con caratteristiche di letalità apparentemente elevate. Nelle settimane successive cifre e letalità vennero ridimensionate, ma fu chiaro da subito che A/H1N1/2009 era un nuovo ceppo con potenzialità pandemiche che trova tutta la popolazione mondiale potenzialmente infettabile. Nello spazio di alcune settimane da pochi casi umani localizzati in Messico si arrivò a un coinvolgimento crescente degli Stati Uniti, seguiti a breve dall’Australia e poi da molte altre nazioni e continenti, Europa inclusa.

L’11 giugno 2009, a poco più di due mesi dai primi casi umani segnalati, l’Oms aumentava il livello di allerta pandemico a 6, una dichiarazione ufficiale di stato di Pandemia. Nonostante le teorie probabilistiche sull’origine del virus fossero molteplici il sequenziamento di numerosi isolati consentì di definire con chiarezza che l’A/H1N1 era un virus frutto di riassortimenti genetici importanti. Il nuovo virus pandemico riuniva segmenti di Rna dell’influenza stagionale umana (A/H3N2 per la PB1), dell’influenza suina di lineaggio americano (HA, NP, e NS) dell’influenza suina di lineaggio euroasiatico (NA e MP) e delle influenze aviare di lineaggio americano (PB2, PA). Studi comparativi dimostrarono inoltre che virus estremamente simili erano già stati isolati nell’agosto 2007 nel territorio degli Stati Uniti sia da persone sia da suini con malattia clinicamente manifesta. Come in altre pandemie, la circolazione protratta del virus nel periodo che precede l’evento pandemico è un elemento di rilievo che consente a questi di adattarsi progressivamente migliorando le abilità replicative e di diffusione.

Un elemento nuovo che compare in maniera significativa in questa pandemia è legato alle dinamiche di spostamento degli uomini. Per la prima volta nella storia una vastissima rete di vie aeree interconnette popolazioni di diversi paesi e il tutto può avvenire all’interno dei tempi di incubazione della malattia o di eliminazione di virus infettanti da parte di malati più o meno sintomatici. In passato gli eventi pandemici si muovevano sul territorio, per contiguità e alla velocità di un piroscafo a vapore o di un cavallo, mezzi che non fornivano al virus grandi opportunità di circolazione (un uomo infetto elimina virus infettanti per una settimana e questi possono sopravvivere in ambienti riscaldati o a temperature ambientali di 20 °C. per tempi brevi). Oggi, in un mondo globalizzato, i virus pandemici possono circolare nel pianeta a bordo degli aerei. Nello spazio di pochi mesi la diffusione dell’A/H1N1 pandemico ha raggiunto quasi ogni parte del pianeta contribuendo a determinare la morte di migliaia di persone e la malattia in centinaia di migliaia. Quando un virus pandemico entra in una popolazione umana, il suo tasso di attacco è normalmente elevato (30-40%) mentre la letalità può essere estremamente variabile e non necessariamente costante nel tempo.

Spesso i ceppi capaci di indurre mortalità significative sono preceduti da varianti meno patogene degli stessi e questo non deve portare erroneamente a pensare che, davanti a un esordio non particolarmente aggressivo, il decorso dell’intera pandemia rimarrà invariato. Virus particolarmente aggressivi quali A/H1N1 dell’influenza spagnola del 1918, furono preceduti da varianti meno patogene per tempi relativamente lunghi. La patogenicità di un virus è spesso frutto di una evoluzione successiva favorita dalla competizione tra le varianti all’interno della popolazione del virus stesso, una sorta di vicolo cieco evolutivo che offre però un momentaneo vantaggio durante la competizione tra virus in quanto i più patogeni tendono a occupare più parenchimi e quindi a riprodursi di più. Un virus pandemico possiede l’abilità di indurre le difese dell’ospite infettato a reazioni abnormi favorendo la liberazione massiva di citochine, normali meccanismi di mediazione e comunicazione cellulare che mal controllati finiscono come conseguenza estrema per ostacolare la respirazione dell’individuo colpito. Si tratta quindi di virus che condizionano le difese dell’ospite contro l’ospite stesso e quindi è la «necessità» di un bersaglio vigoroso il motivo per cui la mortalità indotta da virus pandemici si orienta anche su soggetti di classi di età comunemente non coinvolte dai virus delle influenze stagionali.

Quanto il passato può insegnare sugli eventi pandemici e quanto può essere diverso il futuro? Sicuramente quanto accaduto nel secolo scorso colloca l’uomo in un inizio pandemico dinanzi a un evento imprevedibile che cessa di esserlo solamente all’esaurimento delle opportunità per il virus di infettare, ovvero quando gran parte della popolazione è divenuta immune. La memoria immunitaria dell’uomo è in grado di ricordare eventi pandemici e prova diretta ne è quanto sta accadendo ora. Ultrasessantenni che hanno avuto modo di incontrare in passato virus correlati a quello dell’influenza spagnola del 1918, la cui progenie ha circolato nella popolazione umana fino agli anni ‘50, si sono dimostrati resistenti all’infezione da parte di A/H1N1/2009. Abilità protettive come queste sono probabilmente all’origine degli avvicendamenti cronologici dei diversi sottotipi pandemici.

Un altro elemento che condiziona le dinamiche evolutive di una pandemia è sicuramente quello climatico. Da un lato può limitare la capacità di sopravvivenza del virus in ambiente (i virus influenzali in generale sopravvivono meno con l’aumento della temperatura), dall’altro con le basse temperature tendono a far aggregare l’uomo in ambienti chiusi, favorendo la trasmissione. In contesti chiusi si trasmette molto facilmente a diversi metri di distanza attraverso le goccioline di saliva e il contatto ravvicinato. Sotto questo profilo, A/H1N1/2009 troverà in Europa un potente alleato nel freddo della stagione invernale. L’uso iniziale degli antivirali per il trattamento dei casi clinici ha evidenziato come all’interno della popolazione virale esistano sottopopolazioni resistenti sia ai farmaci che agiscono sui sistemi ionici - che il virus usa per liberarsi dall’envelope durante l’infezione - sia ai farmaci inibitori della neuroaminidasi che dovrebbero limitare la capacità delle nuove particelle virali di lasciare le cellule in cui si sono replicati.

Un ultimo elemento di considerazione riguarda la gestione delle pandemie con interfaccia uomo animale. Le verifiche sulle popolazioni animali allevate hanno dimostrato più volte la presenza del virus pandemico in allevamenti di suini (Canada, Norvegia) così come lo stesso virus è stato rinvenuto in allevamenti di tacchini del Canada. Si tratta per ora di trasmissioni dirette da parte di uomini infetti ad animali di allevamento, ma come gestire queste biomasse se il virus pandemico si modificasse aumentando la propria patogenicità? Scenari come questi dimostrano quanto eclettico e opportunista sia un virus influenzale e come contemporaneamente possa colpire sia l’uomo sia alcune delle sue risorse alimentari animali. L'influenza A/H1N1 è la nuova pandemia che dopo 41 anni torna a fare visita alla nostra specie. Nel frattempo il pianeta ha subito forti cambiamenti e noi un rapido incremento demografico. Imprevedibili come sempre i virus influenzali proseguono la loro storia naturale perpetuando in contesti diversissimi il loro ruolo di predatori e di riequilibratori di sistemi.

Mauro Delogu, Claudia Cotti, Università di Bologna.
Maria Alessandra De Marco, Isabella Donatelli, Istituto Superiore di Sanità.
©Darwin 2009

Bibliografia

Neumann G. et al., Emergence and pandemic potential of swine-origin H1N1 influenza virus. Nature, 459, 931-939 (2009).

Trifonov V. et al., Geographic Dependence, Surveillance, and Origins of the 2009 Influenza A (H1N1) Virus. The New England Journal of Medicine, Volume 361:115-119, (2009).

Gaydos J.C. et al., Swine Influenza A Outbreak, Fort Dix, New Jersey, 1976. Emerg Infect Dis (2006 Jan)

Vincent A.L. et al., Characterization of an influenza A virus isolated from pigs during an outbreak of respiratory disease in swine and people during a county fair in the United States. Veterinary Microbiology 137 (2009) 51–59.

K Van Reeth, A Nicoll. A Human case of swine influenza virus infection in Europe- implications for human health and research. Eurosurveillance, Volume 14, Issue 7, 19 February 2009.


martedì 21 settembre 2010

La fame nel mondo arretra, il dramma no

Luca Liverani

www.avvenire.it

Difficile davvero riuscire ad apprezzare il dato positivo. Se è vero che rispetto all’anno scorso le persone che soffrono la fame sono 98 milioni meno – erano un miliardo e 23 milioni – è altrettanto vero che nel mondo la denutrizione attanaglia ancora 925 milioni di uomini, donne, bambini. Il rapporto Sofi 2010 presentato ieri dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf, non lascia spazio a esercizi di ottimismo. Anche perché il lieve miglioramento - il 9,6% in meno, il primo calo da 15 anni - è comunque da attribuirsi alla crescita delle economie di India e Cina più che a politiche mirate. E dove il tunnel della fame è più nero, in quell’area subsahariana dove non mangia un africano su tre, non si scorge nessuna luce.

Alla presentazione nella sede dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, assieme a Diouf ci sono la direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale (Pam), Josette Sheeran e la vicepresidente del Fondo internazionale per lo Sviluppo agricolo (Ifad), Yukiko Omura. È lei che ricorda che dietro alle cifre e alle statistiche ci sono esseri umani che soffrono: «Gli affamati nel mondo non sono numeri – dice Omura – ma persone che lottano per fare crescere i propri figli, giovani che cercano di costruirsi un futuro. C’è dell’ironia nel fatto che la maggior parte di essi sia concentrata nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo: il 70% dei poveri, cioé chi vive con meno di un dollaro al giorno, vive lì. Quasi un miliardo di persone, di cui 4 su 5 sono contadini. È proprio nelle aree rurali la chiave per risolvere il problema e reagire alle variazioni del mercato. È lì il primo motore dello sviluppo».


Diouf indica una cifra: «Abbiamo bisogno di 45 miliardi di dollari l’anno di investimenti in agricoltura». Tanti? «Che cosa sono in confronto ai 1.250 di spese militari annuali?». E dire che nel 1996 il World food summit aveva stabilito di ridurre a 400 milioni gli affamati entro il 2015.

Il rapporto Sofi 2010 racconta che i due terzi delle persone sottonutrite vivono in soli 7 Paesi: Bangladesh, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Indonesia, Pakistan, ma anche nei due giganti dell’economia, Cina e India. La regione con più sottonutriti resta quindi l’Asia con 578 milioni di individui. Ma è l’Africa subsahariana la regione con la proporzione più alta di affamati, il 30%, con 239 milioni di individui. I progressi variano molto da Paese a Paese.

Nel biennio 2005-2007 in Africa subsahariana, Congo, Ghana, Mali e Nigeria avevano già raggiunto il primo degli Obiettivi del Millenio e l’Etiopia e altri sono prossimi a farlo. Ma la proporzione dei sottonutriti nella Repubblica democratica del Congo è aumentata del 69%. In Asia sono Armenia, Myanmar e Vietnam ad avere raggiunto il primo degli Obiettivi e la Cina è vicina a raggiungerlo. In America Latina e Caraibi l’hanno già raggiunto Guyana, Giamaica e Nicaragua, mentre il Brasile è vicino.

Dietro l’angolo c’è il vertice dal 20 al 22 settembre a New York, convocato per accelerare il cammino verso gli Obiettivi del Millennio. E la campagna <+corsivo>One billion hungry <+tondo>lanciata da Diouf a maggio ha raccolto 500mila firme. Per chiedere ai governanti di tutto il mondo di fare della lotta alla fame una priorità assoluta.

lunedì 2 agosto 2010

Le future malattie transgeniche



A cura del dottor Giuseppe Nacci - tratto dal libro: “Mille Piante per guarire dal Cancro senza Chemio” dicembre 2010

www.disinformazione.it/

Le Multinazionali OGM cercano, in sostanza, di produrre molecole farmaceutiche come l’Insulina e altri ormoni umani, oppure vaccini o sieri (questi ultimi a base di Anticorpi Monoclonali [Monoclonal AntiBodies, MoAbs]), o molecole proteiche di altra struttura biochimica (Lattoferrina, Ormone di Crescita, Antigeni neoplastici, etc…) tramite piante OGM, definite come “bio-reattori” o “bio-fabbriche”.
Mentre era, ed è, eticamente corretto produrre molecole farmaceutiche tramite ceppi di Escherichia Coli o di altri micro-organismi tenuti in laboratori protetti, un chiaro rifiuto etico e morale deve immediatamente sorgere all’idea di impiegare Pomodoro, Mais, Soia, e altre piante, in campo aperto o in serra (sia pure in laboratorio protetto) per produrre molecole bio-farmaceutiche, cioè proteine che vengono successivamente estratte dalla pianta ad uso di Insulina e altri ormoni umani, vaccini o sieri (questi ultimi a base di Anticorpi Monoclonali [Monoclonal AntiBodies, MoAbs]), o molecole proteiche di altra struttura biochimica (Lattoferrina, Ormone della Crescita, Antigeni neoplastici, etc…: a questo punto, il rischio di contaminazione ambientale avrebbe conseguenze tremende a livello sull’intera specie di quel tipo di pianta utilizzata per produrre la particolare molecola proteica, poiché la specifica pianta OGM (“bio-reattore” o “bio-fabbrica”, entrando nella catena alimentare animale o umana, provocherebbe l’assorbimento di questa particolare molecola proteica bio-farmacalogica da parte dei sistemi digestivi animali e umani, con effetti assolutamente sconosciuti, ma sicuramente dannosi.

Ad esempio, si è prodotto un vaccino a base di MoAbs contro l’Epatite B, ottenuto dal professor Charles Arnitzen, a Phoenix, Arizona. In seguito, si è prodotto anche un vaccino a base di MoAbs contro la Dissenteria, ottenuto dai professori Richter e Arnitzen, a Phoenix, Arizona da piante OGM bio-reattori (Patate).
Si stanno anche mettendo a punto vaccini da piante OGM contro la Tubercolosi e contro il Melanoma Maligno umano, quest’ultimo sfruttando le piante di Tabacco, ma si pensa anche da Graminacee (Grano, Riso, Mais).
Può essere utile riportare qui di seguito vecchi lavori bibliografici (1997-2001) sulla preparazione di piante OGM per produzione di bio-farmaci, fra cui soprattutto vaccini (vedi BIBLIOGRAFIA IN FONDO al presente documento)
Molte sono quindi le molecole bio-farmacologiche che le Multinazionali OGM e chemio-farmaceutiche intendono proporre sul mercato farmaceutico mondiale.
E’ pertanto necessaria una lunga disamina su queste bio-molecole, allo scopo di valutare:
Effettivi vantaggi in Medicina dal loro uso, a prescindere dal metodo di produzione di tali bio-farmaci.
Pericoli derivanti da ingestione involontaria di piante OGM (bio-reattori) produttrici di tali bio-farmaci.
Principali campi di applicazione dei bio-farmaci di cui si ipotizza la possibile produzione su larga scala tramite piante OGM (bio-reattori).

Oncologia

1) Bio-farmaci anti-cancro: Anticorpi Monoclonali (si autoveicolano sulle cellule tumorali).
La validità del loro impiego in terapie mediche attuali sono scarse: vedi “ Gli Anticorpi Monoclonali nella terapia anti-cancrohttp://www.mednat.org/cancro/Allegato%2042.pdf ]).
Da circa dieci anni si sta assistendo alla commistione di Immuno-Terapia associata con Chemioterapia: nella fattispecie, impiegando Anticorpi Monoclonali prodotti per ingegneria genetica dalle Multinazionali Chemio-farmaceutiche in associazione con chemioterapici, con risultati superiori alla semplice Chemioterapia (Sobrero A.: Journal of Clinical Oncology, 2006, ASCO Annual Meeting Supplement, pp: 3544 ; Axel Grothey: Journal of Clinical Oncology, vol. 26, No.33, 2008, pp.: 5326-5334; Fairooz Kabbinavar, Journal of Clinical Oncology, vol. 23, No. 16, 2005, pp: 3697-3705). Ma va ribadito che Anticorpi Monoclonali usati da soli in tumori diffusi, senza Chemioterapia, ottengono in genere risultati superiori. Ad esempio, nel 1999 venne addirittura dimostrato che Anticorpi Monoclonali (anti HM1.24), usati senza Chemioterapia, in animali affetti da Mieloma Multiplo, determinavano l’attivazione di una efficace risposta immunitaria globale contro il Mieloma Multiplo stesso (Maasaki, Blood, vol.93, No.11, June 1, 1999, pp. 3922-3930), e capaci di indurre, in animale, risposta immunitaria cito-tossica mediata da linfociti, con regressione completa di malattia, anche se presa in stato avanzato. Gli Anticorpi Monoclonali (MoAbs) hanno però il limite, non superabile in alcun modo, della loro scarsa capacità di penetrazione nella massa tumorale a causa dell’elevata Pressione di Fluido Interstiziale del tumore (vedi: Gli Anticorpi Monoclonali nella terapia anti-cancro;
(
http://www.mednat.org/cancro/Allegato%2042.pdf).

La Risposta Immunitaria, indotta contro il tumore, avviata attraverso l'utilizzo dei Globuli Bianchi (Natural Killer) si è dimostrata di più riconosciuta sicurezza, con l’estrazione dei Linfociti dal tumore, loro coltivazione in ambiente sterile, e quindi loro successiva reinoculazione endovenosa nel paziente. A scopo di esempio si riportano gli ottimi risultati (Remissione Totale o Parziale) ottenuti nel 24% dall’italiano Prof. Giancarlo Pizza di Bologna su circa centoventi (120) pazienti fra il 1986 e il 2001 (Pizza Giancarlo: Immunotherapy of metastatic kidney cancer, Int. J. Cancer, 94, pp.109-120, 2001;
http://www.mednat.org/cancro/Allegato%2043.pdf]).

Ma una Risposta Immunitaria contro il cancro è facilmente ottenibile mediante semplice alimentazione povera di proteine e ricca di vitamine e di enzimi proteolitici (vedi cap. 4 e cap. 17 [terapia Metabolica]) attivando in tal modo i Natural Killer prodotti dai linfonodi posti in prossimità del tumore (se non vengono tolti prima dal chirurgo !!!). Sull’azione dei Natural killer vedi “Le Scienze, ottobre 1994, N. 314, pp. 42-50,; e J.Ding: “Come agiscono le cellule killer”. Le Scienze, 1994, pp.: 28-34
(
http://www.mednat.org/cancro/Le%20Scienze%201994_%20Natural%20Killer.pdf )

Rischi derivanti dalla produzione di Anticorpi Monoclonali tramite piante OGM:
Vi è pericolo di malattie auto-immuni a partenza gastro-intestinale, totalmente sconosciute poiché ancora non esistenti. Si può stimare che gli Anticorpi Monoclonali anti-cancro potrebbero ridurre la naturale capacità di reazione anticorpale dell’organismo contro il cancro e altre malattie neoplastiche (leucemie, linfomi, sarcomi, etc…), a causa di diverse reazioni biochimiche quali ad esempio l’attivazione di linfociti T soppressori, oppure di reazioni crociate auto-immuni contro antigeni di tessuti sani di altri organi o apparati….

2) Bio-farmaci anti-cancro: antigeni neoplastici (a scopo immuno-attivante delle difese immunitarie)
Validità del loro impiego in terapie mediche attuali: buono, però estremamente costoso e del tutto immotivato, essendo facilmente ottenibile una Risposta Immunitaria contro il cancro mediante semplice alimentazione povera di proteine e ricca di vitamine e di enzimi proteolitici (vedi cap. 4 e cap. 17 [terapia Metabolica]), e visualizzabile facilmente con Eco-tomografie, TAC, Risonanza Magnetica o PET, che possono documentare l’incremento o meno di dimensione dei linfonodi prossimali al tumore maligno, con assenza di captazione del Fluoro 18-Desossiglucosio, convalidando così quanto già dimostrato dagli scienziati americani fin dal 1994 sull’attivazione dei Natural Killer di questi linfonodi prossimali alle masse tumorali
(
http://www.mednat.org/cancro/Le%20Scienze%201994_%20Natural%20Killer.pdf )

Malattie autoimmuni, Asma, Allergie, Intolleranze alimentari

Le Malattie auto-immuni più note e conosciute, verso le quali la Medicina Ufficiale non può far nulla, a parte la somministrazione di cortisonici e altri farmaci “sintomatici”, cioè che curano il sintomo della malattia, ma non la sua causa, sono moltissime. Qui di seguito si fa un breve elenco delle più comuni:

Occhio : uveite focoanafilattica, oftalmia simpatica
Ghiandole salivari : Morbo di Sjogren
Tiroide: Iper-tiroidismo (Malattia di Flajani-Graves von Basedow); Ipo-tiroidismo (Tiroide cronica di Hashimoto)
Paratiroidi : Ipo-paratiroidismo
Polmoni : Fibrosi polmonari di varie patologie sistemiche auto-immuni o per alveoliti allergiche di varia origine (forse anche malattia primitiva del polmone, quale propria FIBROSI POLMONARE PRIMITIVA: Malattia di Hamman-Rich);
Cuore: Fibrosi endomiocardica
Stomaco: Gastrite cronica atrofica con anemia perniciosa.
Pancreas : Diabete Mellito Insulino-Dipendente o di Primo Tipo (o Diabete Giovanile).
Fegato: alcune forme di cirrosi biliare.
Intestino: Morbo celiaco (Sprue-celiaco, o Celiachia), Malattia di Wipple, Enteropatie proteino-disperdenti, Malattia di Crohn, Colite granulomatosa (Malattia di Crohn del Colon), Retto-Colite Ulcero-Emorragica.
Surrenali: Atrofia surrenale primitiva.
Reni e polmone: Sindrome di Goodpasture, Glomerulonefrite cronica membrano-proliferativa.
Testicoli : sterilità maschile.
Articolazioni : Malattia reumatica, Poliartrite Reumatoide, Spondilo-artrite Anchilopoietica.
Collagenopatie: Lupus Eritematoso Sistemico (LES); Poli-Artrite Nodosa, Dermato-Poli-Miosite, Sclerodermia, Connettivite Mista, Sarcoidosi (sospetta: forse eziopatogenesi da Herpes virus).
Cute: Pemfigo e pemfigoidi.
Sangue: Anemia emolitica autoimmune, Porpora trombocitopenica idiomatica.

Queste patologie sono sostanzialmente una conseguenza di uno squilibrio immunitario, spesso derivante da una alimentazione iper-proteica che diventa causa di “DIS-BIOSI intestinale”, cioè di sovvertimento della normale flora batterica intestinale (flora batterica saprofita), responsabile dei fondamentali processi di assimilazione delle sostanze nutritive (vitamine naturali) contenute nei cibi vegetali (frutta, verdura, cereali, legumi, ortaggi). La perdita di questi “germi buoni” è dovuta all’alimentazione iper-proteica, ricca di aminoacidi essenziali (tutti e 9), della vitamina B12, e del glucosio (zucchero semplice) liberamente disponibili nel tubo intestinale.

Il Glucosio e la presenza di tutti e 9 gli aminoacidi essenziali sono la fonte necessaria per lo sviluppo della flora batterica “cattiva”, cioè quella della putrefazione.
L’intestino umano ha un volume di circa 6 litri e una superficie enorme di circa 400-600 metri quadrati. Dalla gola fino all’ano sono pertanto disseminate ben 150 stazioni linfonodali, importantissimi presidi di Linfociti (globuli bianchi) che mantengono le difese immunitarie a ridosso di questa che può essere senz’altro considerata l’area più pericolosa e più critica del corpo: il lume intestinale, ricchissimo di germi “buoni” e “cattivi”.

I due polmoni hanno infatti una superficie totale molto più limitata: appena 80 metri quadrati; la pelle, in un soggetto adulto, non supera i 2 metri quadrati di superficie….
Su quest’immensa superficie intestinale si gioca quindi la differenza fra uno stato di salute e uno stato di malattia. La massa fecale, in un soggetto vegetariano, è costituita al 20-40% da germi “buoni” (entero-batteri, o germi simbiotici o saprofiti). Questi germi sono comunque presenti in tutti i soggetti nella parte alta dell’intestino (parte iniziale e media dell’intestino tenue: duodeno e digiuno). Essi appartengono ad oltre 400 specie, tra i più importanti si evidenziano: Bifidobacterium bifidum, Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus bulgaricus, Lactobacillus lactis, Lactobacillus rhamnosus; altri: Edwardsiella, Citrobacter, Providencia, Arizona, Escherichia coli, Enterobacter, Serratia, Klebsiella, Pseudomonas, Shigella, Vibrio, Proteus, etc…
Anche alcune sottospecie di questi germi sono comunque patogene (Vibrio colerae, Shigella dissenteriae, Pseudomonas aeruginosa).

In ogni caso, sono tutti germi aerobi, cioè hanno tutti bisogno di Ossigeno per vivere. Essi sono gli artefici di quella SIM-BIOSI tra corpo umano e germi stessi che consente un buon equilibrio nutrizionale di assimilazione delle vitamine da parte dell’uomo in cambio di un habitat ideale alla proliferazione dei questi medesimi.
Questi batteri non sono danneggiati dall’alimentazione vegetariana, pur essendo la frutta, la verdura, gli ortaggi, le spezie ricchissimi di sostanze germicide, fungicide e parassicide (es.: Allicina, contenuta in Allium species). Viceversa, questi germi aiutano enormemente il fisico a digerire e quindi ad assimilare le migliaia di vitamine naturali contenute nei cibi vegetariani.
La massa fecale, nella parte iniziale dell’intestino, conterrà circa 1 milione di questi germi per 1 grammo di massa di escrementi. Via via che la massa fecale scende nel tubo intestinale aumenta la sua percentuale di germi simbiotici o saprofiti (germi “buoni”), raggiungendo anche il valore di 10 milioni di germi per 1 grammo di feci.

Nella parte bassa dell’intestino (Colon) cominciano però a formarsi colonie di germi completamente diversi da quelli “buoni”: sono i germi della putrefazione, capaci di sopravvivere anche in assenza di ossigeno: Bacteroides, Pepto-streptococchi, etc…
La quantità di questi germi presenti nelle masse fecali aumenta a dismisura, raggiungendo valori compresi fra 1 miliardo e 100 miliardi di germi “cattivi” per grammo di massa fecale.
Questi germi “cattivi” dovrebbero esistere solo nella parte finale dell’intestino, ma purtroppo non è così: un’alimentazione sbagliata tende infatti a far sì che questi germi “risalgano” l’intestino, raggiungendo zone dove non dovrebbero proliferare, come ad esempio l’Helicobacter pylorii che nello stomaco è poi causa di gastrite e di ulcera gastrica, rigonfiamento gassoso dello stomaco (con possibile effetto di “spina irritativa” al cuore).

La proliferazione abnorme di questi germi “cattivi” avviene quando trovano nutrimento in un’alimentazione iper-proteica e ricca di glucosio.
Ma anche il latte, il formaggio e altri suoi derivati hanno la loro grave responsabilità: la Caseina, contenuta nel latte e nei suoi derivati, aiuta enormemente a ridurre le quantità di ossigeno presenti nel tubo intestinale, grazie alla sua capacità di “incollare” le pareti intestinali fra loro (riducendo enormemente, inoltre, il volume intestinale disponibile per l’assimilazione delle vitamine naturali stesse).
L’importanza di questi germi “cattivi”, come causa di patologie successive, è data dal fatto che essi rubano spazio e terreno ai germi “buoni”, cioè ai simbiotici o saprofiti.
L’organismo umano perde così, a questo punto, la possibilità di assimilare le preziose vitamine naturali.
La presenza dei germi della putrefazione apre poi la strada ai funghi (candide), le quali a loro volta apriranno la strada ai parassiti (vermi) intestinali.

La presenza dei parassiti (vermi) intestinali è un fenomeno molto diffuso nella popolazione italiana attuale, benché notevolmente sottostimata. Un valore ematico facilmente ottenibile è quello della percentuale di EOSINOFILI presenti nell’”Ematocrito con formula”.
Intolleranze alimentari, allergie (asma compreso) e gran parte delle malattie auto-immuni (o forse tutte) hanno, o avrebbero, quindi come unica causa (ezio-patogenesi) la presenza di parassiti (vermi) nell’intestino.
Nell’ASMA, nelle malattie allergiche, nelle intolleranze alimentari sono presenti percentuali di EOSINOFILI superiori al 2% (valore limite che non si dovrebbe superare);
Nelle allergie sono presenti le IgE; quest’ultime sono viceversa assenti nelle intolleranze alimentari.

NOTA: In merito all’allergia e alle intolleranze alimentari si ritiene, in contrasto con la linea di molti allergologi, che sia le intolleranze alimentari che le allergie (compreso l’Asma) siano riconducibili ad un unico quadro ezio-patogenetico: squilibrio immunitario da disbiosi intestinale.
In questi pazienti è però necessario mantenere una alimentazione proteica almeno settimanale (cioè una sola volta alla settimana) fatta di pesce, carne e uova (biologiche), ciò allo scopo di evitare pericolosi shock anafilattici in caso di errate o mancate regole alimentari nella fase di “svezzamento” alimentare vegetariano impostato, soprattutto se attuate in assenza della vitamina F, che dev’essere invece regolarmente assunta a scanso di possibili fenomeni allergenici.
Viceversa sarebbero comunque da eliminare per molto tempo il Latte e i suoi derivati.
In merito allo zucchero bianco o di canna, e al lievito (Pane, Pizza, Birra), essi dovrebbero comunque essere vietati per molto tempo.

Di recente, le Multinazionali chemio-farmaceutiche e OGM hanno però iniziato ad ipotizzare l’utilizzo di Anticorpi Monoclonali per la cura di queste patologie, sia nel caso delle Malattie autoimmuni che nel caso delle Allergie, dell’Asma e delle Intolleranze Alimentari.
Personalmente si ritiene del tutto improponibile il loro impiego sia sul piano dei costi, sia sul piano di possibili effetti gravi non prevedibili sulla salute degli stessi pazienti.
In merito poi al possibile utilizzo di piante OGM per la produzione di Anticorpi Monoclonali per la cura di dette patologie, il rischio ambientale che si avrebbe sulla catena alimentare animale e umana è assolutamente inaccettabile, causa i gravissimi rischi di morte per shock anafilattici e di altro genere.

Malattie infettive

Molte piante si sono dimostrate efficaci nella cura di malattie infettive, che spesso la disinformazione mediatica chemio-farmaceutica tende a ignorare.
Ad esempio, diverse piante si sono dimostrate attive contro la Sindrome da Immuno Deficenza Acquisita (AIDS), sia attivando la risposta immunitaria contro il sospetto retrovirus HIV (o altro agente patogeno), sia intervenendo a livello stesso del DNA della cellula umana (linfocita T) infettata (Kaleab Asres: Naturally derived anti-HIV agents, Phytotherapy Research, 19, pp: 557-581, 2005)
VEDI su:
http://www.erbeofficinali.org/dati/nacci/studi/piante%20anti-AIDS.pdf

Vaccinazioni contro l’Epatite B, la Tubercolosi e altre malattie infettive sono quindi accettate, ma non attraverso l’utilizzo di piante OGM (bio-reattori), dato il grave pericolo di reazioni auto-immuni o di altro genere quali ad esempio le reazioni d’ipersensibilità gastro-intestinale.
Esse si verificano in soggetti in cui la reattività all’antigene (modificato o meno dalla flora batterica intestinale) sia stata alterata. La nuova esposizione all’antigene (o ad uno molto simile) provoca diverse reazioni anormali. Le reazioni d’ipersensibilità sono di 2 tipi:

- mediate da anticorpi (reazioni immunitarie di tipo immediato)

- mediate da cellule (reazioni immunitarie di tipo ritardato)

Queste reazioni di ipersensibilità sono state classificate da Gell e Coombs in 4 tipi principali:

Ipersensibilità di tipo anafilattico: anticorpi IgE si legano ai Mastociti e ai Basofili mediante il frammento Fc. Quando gli Antigeni reagiscono con questo Fc, si liberano amine vasoattive e altri mediatori, che scatenano la reazione.

Ipersensibilità di tipo citotossico: gli Antigeni posti sulla superficie cellulare si combinano con gli Anticorpi. Ciò può provocare l’opsonizzazione e la fagocitosi senza Complemento, facilitare l’attacco da parte delle cellule, o determinare l’attacco del Complemento che promuove l’aderenza immunologia ai fagociti; l’effetto litico può dar luogo anche al danneggiamento della membrana cellulare da parte del Complemento.

Ipersensibilità mediata da immuno-complessi: gli Antigeni si combinano con gli Anticorpi per formare complessi che, a loro volta, attivano il Complemento e il Fattore di Hageman (il Fattore XII nella coagulazione del sangue) e aggregano le Piastrine, trombosi di piccoli vasi, liberazione di amine vasoattive.

Ipersensibilità mediata da cellule: i Linfociti T che possiedono recettori specifici per gli Antigeni vengono attivati dal contatto con questi Antigeni, proliferano, si trasformano e liberano vari mediatori (Linfochine) che, a loro volta, agiscono sui Macrofagi, sui Linfociti e su altre cellule per provocare le reazioni dell’ipersensibilità di tipo ritardato.

Alla luce di quanto già accaduto con le vaccinazioni contro l’influenza messicana H1N1 (www.mednat.org/vaccini/influenza_suina.htm ), può essere quindi utile riportare qui di seguito alcuni dati di approfondimento:

Anafilassi

(Parzialmente tratto dal capitolo 13 di Jawetz E.: Microbiologia medica , V Edizione italiana, tradotta da”Review of Medical Microbiology”, Jawetz E., 1980 LANGE Medical Publications, Los Altos, California)
Può essere sistemica, cioè generalizzata, oppure locale, interessando soltanto la cute, o le vie respiratorie o l’apparato gastro-intestinale, o altri organi o apparati.
L’Anafilassi GENERALIZZATA comincia nell’uomo 5-30 minuti dopo la somministrazione dell’antigene scatenante, con rossore, orticaria, tosse parossistica, dispnea, vomito, cianosi, collasso cardio-circolatorio, e shock. Le cause principali di morte sono l’edema laringeo, l’edema massivo delle vie respiratorie, e l’aritmia cardiaca. Le cause più importanti di anafilassi generalizzata nell’uomo sono i farmaci (per esempio penicillina), i prodotti biologici (per esempio i sieri animali), le punture d’insetto (per esempio il veleno di ape o di vespa) e gli alimenti (per esempio i crostacei).

L’Anafilassi LOCALE insorge invece entro pochi minuti dal contatto (inalazione o ingestione), ed è una reazione tra l’Antigene responsabile e l’organo sensibile che va in shock: si manifesta comunemente come febbre da fieno, asma, orticaria e vomito. Circa il 10% della popolazione è incline a sensibilizzarsi spontaneamente a vari Antigeni (allergeni) ambientali, per esempio pollini di ambrosia, graminacee o alberi, alimenti e derivati epiteliali degli animali.
Questi soggetti sviluppano reazioni allergiche (atopia) quando vengono esposti all’Antigene.
Esiste una marcata predisposizione familiare a questo tipo di affezioni, ma ciascun individuo deve essere sensibilizzato dallo specifico allergene prima di manifestare le reazioni atopiche.

Reazioni anafilattoidi
(Parzialmente tratto dal capitolo 13 di Jawetz E.: Microbiologia medica , V Edizione italiana, tradotta da”Review of Medical Microbiology”, Jawetz E., 1980 LANGE Medical Publications, Los Altos, California)
Queste reazioni sono simili all’Anafilassi, ma vengono scatenate dall’inoculazione di sospensioni di particelle o di colloidi (Caolino, solfato di Bario, Inulina, etc.) che attivano il Fattore di Hageman, la Plasmina, la Callicreina, e la sequenza del Complemento. Esse non hanno attinenza con le reazioni Antigene-Anticorpo (Ag-Ac) o con l’allergia.

Reazione di Arthus
(Parzialmente tratto dal capitolo 13 di Jawetz E.: Microbiologia medica , V Edizione italiana, tradotta da”Review of Medical Microbiology”, Jawetz E., 1980 LANGE Medical Publications, Los Altos, California)

Questa reazione di ipersensibilità mediata da Anticorpi richiede una grande quantità di complessi Antigene–Anticorpo (Ag-Ac) che fissano il Complemento, attraggono i Leucociti polimorfonucleati e vengono fagocitati da essi. Le cellule liberano enzimi lisosomici che causano lesioni tissutali, tipicamente con vascuolite delle pareti dei vasi sanguigni. Qualsiasi classe di Immunoglobuline (Anticorpi) fissanti il Complemento può provocare la reazione di Arthus, e a livelli più elevati di Anticorpi corrispondono lesioni più intense; si richiedono livelli anticorpali almeno mille volte superiori rispetto a quelli necessari per l’anafilassi descritta sopra, e complessi Ag-Ac possono quindi provocare la reazione di Arthus.
Mentre nell’Anafilassi le modificazioni nella struttura dei tessuti sono limitate a vasodilatazione, edema e pochi Leucociti polimorfonucleati, la reazione di Arthus è caratterizzata da una infiammazione più intensa. Essa inizia con trombosi di piccoli vasi circondati da edema e da intensa infiltrazione di Leucociti polimorfonucleati; quindi si sviluppano aree di necrosi nelle pareti dei vasi sanguigni. I Neutrofili degenerano e i loro frammenti vengono fagocitati da cellule mononucleate e da Eosinofili.

Malattia da siero
(Parzialmente tratto dal capitolo 13 di Jawetz E.: Microbiologia medica , V Edizione italiana, tradotta da”Review of Medical Microbiology”, Jawetz E., 1980 LANGE Medical Publications, Los Altos, California)

Insorge dopo 4-18 giorni dalla penetrazione dell’antigene proteico (es.: molecole proteiche come MoAbs o altro presenti nella pianta OGM) nel flusso ematico (es.: sistema gastro-intestinale), con febbre, orticaria diffusa, tumefazioni articolari e ingrossamento dei linfonodi e della milza. Alcuni tessuti possono anche presentare reazione di Arthus, ma anche vasodilatazione, edema e contrazione dei muscoli lisci (come nell’Anafilassi). Il meccanismo è il seguente: dopo la somministrazione di una grande quantità di Antigene (es: penetrazione dell’Antigene proteico come ad esempio Anticorpi Monoclonali esogeni di derivazione da pianta OGM nel flusso ematico del sistema gastro-intestinale), la loro concentrazione nel sangue declina gradualmente e, nello stesso tempo, comincia la produzione di Anticorpi da parte dell’organismo. La presenza simultanea di Antigene e di Anticorpi porta alla formazione di complessi Ag-Ac solubili che scatenano la risposta immune, combinando la vascuolite con la liberazione di mediatori chimici, e determinando ulteriori danni a cascata su tutti gli organi….

Ulteriori dati:
6/02/02

I diabetici chiedono che siano effettuati test di controllo più rigidi sull'effettiva sicurezza dell'insulina transgenica.
Fonte: The Globe and Mail, Canada
In Canada, la Society for Diabetic Rights e alcuni medici hanno chiesto che venga avviata una pubblica inchiesta sulla sicurezza dell'insulina OGM data la crescita costante del numero di casi in cui il prodotto si è dimostrato nocivo o addirittura letale. La Society ha inoltre chiesto che l'Health Canada faccia in modo che l'insulina derivata dagli animali venga resa più facilmente reperibile sul mercato. Avvalendosi della legge che permette il libero accesso alle informazioni, la Society ha scoperto che nel gennaio 2001 otto cittadini canadesi erano morti dopo aver fatto uso dell'insulina sintetica e che altri 465 avevano denunciato reazioni negative alla sostanza. Per contro, soltanto nove malati avevano reagito negativamente all'insulina derivata dai suini e nessuno a quella derivata dai bovini. Negli USA si sono registrati 92 decessi e ben 4000 casi di reazioni negative all'insulina sintetica.

26/04/02
Presto disponibile una varietà di riso OGM in grado di produrre le stesse proteine contenute nel latte materno
Fonte: Nature, UK, di Helen Pearson.
Una delle ultime trovate della biotecnologia pare riguardi la manipolazione genetica di piante e animali allo scopo di ottenere sostanze proteiche identiche a quelle contenute nel latte materno, risolvendo i problemi di tutte quelle madri che non possono allattare i propri figli. Un gruppo di scienziati dell'Università della California, guidati da Yuriko Adkins, ha modificato una varietà di riso inserendovi il gene responsabile della produzione della lattoferrina, un enzima del latte necessario ai neonati per metabolizzare il ferro e combattere le infezioni. Per essere commercializzato il riso così ottenuto dovrebbe essere approvato dall'FDA, le cui leggi, tuttavia, prevedono, a tutt'oggi, soltanto la regolamentazione di piante OGM in grado di produrre medicinali o pesticidi. Ne consegue che tutto il sistema di norme dell'FDA dovrebbe essere adeguatamente rivisto prima che la produzione a scopo commerciale del riso che produce lattoferrina o di altri organismi geneticamente modificati allo scopo di produrre sostante proteiche utili all'uomo ottengano l'autorizzazione.

10/07/02
Concesso il brevetto ad una varietà di granturco OGM contenente un gene umano.
Fonte: Pioneer Press, USA, di Paul Elias.
L'Ufficio Brevetti statunitense ha concesso al Scripps Research Institute un brevetto che consente al laboratorio di ricerca di controllare in maniera esclusiva alcune delle più interessanti proteine umane ottenute attraverso la coltivazione di vegetali OGM. A detenere i diritti commerciali delle specie brevettate è la Epicyte Pharmaceutical Inc. di San Diego. L'azienda, insieme alla consociata Dow Chemical Co., spera di poter ottenere gli anticorpi contro il virus dell'herpes attraverso la modificazione genetica del granturco e di produrre poi con essi un gel ad azione locale. La società spera di poter iniziare a sperimentare il gel sui pazienti a partire dal prossimo anno.

Negli USA già esistenti più di trecento coltivazioni sperimentali segrete di piante OGM per la produzione di sostanze medicinali.
Fonte: Genet. 11/07/02
Secondo una recente relazione pubblicata da Genetically Engineered Food Alert Coalition, un'associazione statunitense costituita da gruppi di consumatori e di ambientalisti, una nuova tipologia di contaminazione genetica sarebbe alle porte, quella cioè rappresentata dai vegetali geneticamente modificati allo scopo di ottenere sostanze farmacologiche. Le piante, che a quanto pare vengono già coltivate in ben 300 campi sperimentali segreti sparsi in tutti gli Stati Uniti, includono specie modificate per produrre sostanze che inducono l'aborto, ormoni della crescita, sostanze per la coagulazione sanguigna e la tripsina, un allergene. Larry Bohlen, direttore del progetto Health and Environment Programs presso la sezione americana dell'associazione ambientalista Friends of the Earth e membro della Coalizione, ha dichiarato a proposito "un solo errore da parte di una multinazionale e ci ritroveremo tutti a ingerire attraverso i cereali che consumiamo quotidianamente medicinali prescritti ad altri".

03/12/02
L'Ucraina pronta a produrre farmaci dalle piante per coprire il fabbisogno nazionale.
Fonte: Large Scale Biology Corporation, USA.
Lo scorso 5 Novembre il vice primo ministro ucraino Volodymyr Seminozhenko ha firmato un accordo ufficiale con due aziende farmaceutiche per avviare la produzione locale di medicinali attraverso la modificazione genetica delle piante. Le due aziende che metteranno a disposizione le proprie tecnologie collaborando con gli scienziati ucraini per la produzione di proteine e vaccini sono l'americana Large Scale Biology Corporation (Nasdaq: LSBC) e la tedesca Icon Genetics AG. È probabile che in futuro a queste due si aggiunga qualche azienda farmaceutica ucraina.

12/12/02
Criticate dagli scienziati le nuove tecniche di modificazione genetica.
Fonte: The Observer, di Antony Barnett e Robin McKie.
Un gruppo di ricercatori ha messo a punto una tecnica per accelerare i processi evolutivi inserendo i geni promotori del cancro in organismi animali e vegetali. Grazie a tale metodo è possibile creare nel giro di qualche mese centinaia di specie mutanti, che normalmente si genererebbero in natura nell'arco di millenni.
Tale tecnica, detta morfogenesi e adoperata nella creazione di nuove specie animali e vegetali ha suscitato le proteste di gran parte degli esponenti della comunità scientifica e degli ambientalisti.
Secondo alcuni, infatti, tale procedura potrebbe risultare nelle creazione di organismi con geni promotori del cancro che potrebbero poi essere rilasciati nell'ambiente. Tuttavia la Morphotek, azienda statunitense responsabile dell'invenzione della tecnica, afferma che essa potrebbe rivelarsi utilissima per le aziende agricole e farmaceutiche in quanto permette di isolare specie dalla resa vantaggiosa come vegetali in grado di resistere alla siccità o mucche dal latte più nutriente.
I geni promotori del cancro infatti determinano mutazioni a catena nelle piante, nei mammiferi e nei microrganismi in cui vengono inseriti e dai cui si generano poi migliaia di mutanti che diventano oggetto per la ricerca di caratteristiche utili.

16/12/02
Negli Stati Uniti ricavati dal tabacco farmaci per la cura del cancro.
Fonte: Los Angeles Times, USA.
L'azienda farmaceutica Large Scale Biology Corp. sta sviluppando piante di tabacco sulle cui foglie si generano cellule tumorali che vengono successivamente estratte e sottoposte a studi di laboratorio allo scopo di ricavarne un vaccino contro il cancro. Al momento sono sedici i pazienti malati di tumore ai linfonodi a cui è stato somministrato il nuovo farmaco in via sperimentale. La novità sta nel fatto che si tratta non di un medicinale prodotto su larga scala bensì specifico per la cura di una particolare tipologia di neoplasie, aprendo le porte alla produzione di farmaci "fatti su misura". A causa del fatto che il cancro al sistema linfatico si diffonde con lentezza ci vorranno anni prima di stabilire l'effettiva efficacia del vaccino somministrato. Tuttavia i primi dati sono confortanti. Durante una recente conferenza tenuta a Philadelphia, gli scienziati della Large Scale Biology Corp. hanno infatti dichiarato che, dopo aver ricevuto il vaccino, ben dieci dei sedici pazienti hanno sviluppato cellule in grado di contrastare quelle tumorali, una percentuale molto alta per un farmaco anti-cancro. L'azienda si propone ora di elaborare la versione definitiva del farmaco entro sei settimane al fine di poter provvedere alla cura di almeno diecimila malati ogni anno.

15/12/04
Gli scienziati chiedono il bando degli OGM utilizzati nella produzione di farmaci.
Fonte: Genet.
L¹UCS, (Union of Concerned Scientists), ha esortato l’USDA ad imporre un bando immediato sulla produzione di Mais, Soia e altre piante modificate per la produzione di farmaci e sostanze chimiche per uso industriale. L’UCS ha inoltre raccomandato che l’USDA organizzi una campagna per la promozione di sistemi di produzione alternativi più sicuri. Gli scienziati hanno basato le proprie affermazioni sulle conclusioni di uno studio recentemente completato da sei esperti che hanno analizzato il sistema attuale di coltivazione di tali OGM, arrivando alla conclusione che, se essi resteranno immutati, l¹ingresso di tali alimenti nella catena alimentare sarà del tutto impossibile da evitare. In sostanza, riassume lo studio, i consumatori americani attualmente corrono il serio rischio di ingerire farmaci involontariamente, con il semplice consumo di ciotole di cereali a colazione !

14 marzo 2005
Olio Extra Vergine OGM
A Chicago vogliono produrre un acido oleico BT contro il tumore al seno
FONTE : Assobiotec/Federchimica
Che la dieta mediterranea fosse un rimedio salutare per le sindromi metaboliche è noto da tempo, ma che i principi attivi contenuti nell'olio d'oliva fossero implicati nella diminuzione del rischio di contrarre il tumore al seno, è scoperta recente.
Un gruppo di ricercatori della Northwestern University di Chicago, diretti da Javier Menendez, ha recentemente pubblicato sul bollettino interno dell'università gli esiti di uno screening associato all'assunzione di olio extravergine d'oliva, verificando che un'alta percentuale di donne a rischio dal punto di vista del tumore mammario per fattori secondari, è risultata pressoché esente da danni citologici.
"L'acido oleico contenuto nell'olio - afferma Menendez - riduce in misura notevole i livelli di un oncogene, l'Her-2/neu, tipico della comparsa di tumori estremamente aggressivi e dalla prognosi infausta. La relativa semplicità di sintesi del principio attivo - continua - farà sì che, con adeguati trattamenti bioingegneristici, lo si possa produrre con le caratteristiche farmacologiche necessarie ad applicarlo come protettivo".

14 marzo 2005
Anche l'ENEA studia un vaccino OGM contro l'AIDS
Fonte : Repubblica
Per ora siamo alla coltura dei virus dell’Aids sulle foglie di Tabacco, più avanti (forse) i possibili antidoti: grandi quantità di farmaco a prezzi ridotti e privi di effetti collaterali.
Finalmente anche l’Italia è in prima linea nel campo della sperimentazione dei vaccini vegetali.
E’ in fase di test sugli animali il vaccino anti-Aids ottenuto trasformando piante di tabacco in “bio-reattori”, ossia economiche ma efficaci fabbriche biologiche.

Le ricerche, in corso nel centro di ricerche dell'ENEA alla Casaccia (Roma) e uniche in Italia, toccano l’area delle biotecnologie vegetali, campo all'avanguardia a livello internazionale. «I vaccini prodotti dalle piante, hanno il doppio vantaggio di avere costi molto bassi e di non richiedere una catena del freddo, così come accade con i vaccini ottenuti con le tecniche tradizionali», spiega Rosella Franconi, ricercatrice del dipartimento biotech dell’Enea, diretto da Eugenio Benvenuto.
Per realizzare un vaccino il primo passo è estrarre il materiale genetico del virus che si vuole combattere.
Questo viene quindi trasferito in piantine nane di tabacco producendo delle microabrasioni sulla superficie delle foglie con un semplice sfregamento.

A questo punto l'infezione nella pianta ha preso il via e comincia gradualmente ad estendersi dalla foglia trattata al resto della pianta. La comparsa di nuove foglie dall'aspetto meno florido e un po' arricciate è un ottimo segno perché vuol dire che l'infezione è avvenuta.
A questo punto non resta che estrarre dalle foglie le molecole di interesse farmacologico e con queste realizzare il vaccino.

Nelle serre della Casaccia le piantine di tabacco trasformate in “bio-fabbriche” lavorano anche alla produzione di un vaccino terapeutico contro il tumore del collo dell'utero causato dal Papilloma virus.

L’ENEA non è comunque la sola struttura di ricerca a cimentarsi nel campo dei vaccini vegetali. Già da qualche anno sono allo studio in tutto il mondo vaccini per prevenire virus come l’Epatite B o il Melanoma prodotti "ingegnerizzando" delle piantine come Patate o Pomodori.
Negli Usa ad esempio è in corso un test su 42 persone condotto dai ricercatori del Roswell Park Cancer Institute che hanno modificato la pianta della Patata con l'inserimento di un gene che riesce a far sviluppare una risposta immunitaria contro l’epatite B. Il 60% del campione ha mostrato segnali dello sviluppo di una buona immunità verso il virus Hbv dopo aver mangiato un boccone della patata transgenica, dato che viene riportato sulla rivista dell'Accademia Americana delle Scienze Proceedings of National Academy of Sciences.

Un vaccino commestibile potrebbe essere un modo più economico e pratico per debellare il pericoloso virus, e un asso nella manica per realizzare programmi globali di vaccinazione, ha riferito il coordinatore delle sperimentazioni al Roswell Park Cancer Institute, Yasmin Thanavala, precisando che il loro vaccino è più efficace e sicuro di altri vaccini orali messi a punto in altri centri di ricerca del mondo.
Poiché il vaccino commestibile contiene una sola proteina virale e non il patogeno stesso, è impossibile che dia infezioni negli individui trattati con le Patate.

Il grande vantaggio di questi vaccini, oltre ai costi di produzione molto più ridotti, sta nel fatto che permetterebbe di ovviare ai complessi metodi di conservazione dei normali preparati vaccinali, necessità che rende difficilmente applicabile su vasta scala campagne di vaccinazioni che investano i paesi più poveri dove anche i mezzi di refrigerazione per medicine e vaccini sono inesistenti.
Questo vaccino potrà essere il primo di una lunga serie anche per Francesco Sala, uno dei massimi esperti di biotecnologie, che lavora all'Università Statale di Milano. Se il traguardo dei vaccini in piante biotech (OGM) appare non più fantascienza resta, però, il grosso problema dei finanziamenti: «Per la nostra ricerca all'Università di Milano - afferma Sala - abbiamo ricevuto fondi pari a 50.000 euro per il 2004 e non ci sono ancora finanziamenti per il 2005. Una somma esigua, se si considera che in Sud Corea, per ricerche analoghe, vengono stanziati due milioni di dollari l'anno. Il problema è che questo settore interessa poco le multinazionali, dal momento che i guadagni sarebbero ridotti, ed è per questo che gli enti pubblici dovrebbero farsene maggior carico stanziando fondi adeguati, poiché l'accesso alle vaccinazioni è un interesse sociale senza confini

BIBLIOGRAFIA

Arakawa T.: Expression of cholera toxin B subunit oligomers in transgenic potato plants, Transgenic Res., 1997, 6, pp: 403-413

Arakawa T.: A plant-based cholera toxin B subunit-insulin fusion protein protects against the development of autoimmune diabetes, Nat. Biotechnol., 1998, 16, pp: 934-938

Arakawa T.: Efficacy of a food plant-based oral cholera toxin B subunit vaccine, Nat. Biotechnol., 1998, 16, pp: 292-297

Carrillo C.: Protective immune response to foot-and-mouth disease virus with VP1 expressed in transgenic plants, J. Virol., 1998, 72, pp.: 1688-1690

Carrillo C.: Induction of a virus-specific antibody response to foot and mouth disease virus using the structural protein VP1 expressed in transgenic potato plants, Viral Immunol., 2001, 14, pp: 49-57

Dearman RJ.: Characterization of antibody responses induced in rodents by exposure to food proteins: influence of route of exposure, Toxicology 2001, 167, pp: 217-231

Fooks AR.: Development of oral vaccines for human use, Curr. Opin. Mol. Ther., 2000, 2, pp: 80-86

Gomez N.: Oral immunogenicity of the plant derived spike protein from swine-transmissible gastroenteritis coronavirus, Arch. Virol., 2000, 145, pp: 1725-1732

Haq TA: Oral immunization with a recombinant bacterial antigen produced in transgenic plants, Scince, 1995, 268, pp: 658-660

Kong Q.: Oral immuninization with hepatitis B surface antigen expressed in transgenic plants, Proc. Natl. Acad. Sci. USA, 2001, 98, pp.: 11539-11544

Lauterslager TG.: Oral immunisation of naïve and primed animals with transgenic potato tubers expressing LT-B, Vaccine, 2001, 19, pp: 2749-2755

Ma S.: Autoantigens produced in plants for oral tolerance therapy or autoimmune diseases, Adv. Exp. Med. Biol., 1999, 464, pp: 179-194

Ma SW.: Transgenic plants expressing autoantigens fed to mice to induce oral immune tolerance, Nat. Med., 1997, 3, pp: 793-796

Marquet-Blouin E.: Neutralizing immunogenicity of transgenic carrot (Daucus carota) derived measles virus hemagglutinin, Plant Mol. Biol. 2003, 51, pp: 459-469

Mason HS.: Expression of Norwalk virus capsid protein in transgenic tobacco and potato and its oral immunogenicity in mice, Proc. Natl. Acad. Sci. USA, 1996, 93, pp: 5335-5340

Mason HS.: Edible vaccine protects mice against Escherichia coli heat-labile enterotoxin (LT) : potatoes expressing a syntetic LT-B gene, Vaccine, 1998, 16, pp: 1336-1346

Mason HS.: Transgenic plants as vaccine production systems, Trends Biotechnol., 1995, 13, pp: 388-392

Matsumura T.: Production of immunogenic VP6 protein of bovine group A rotavirus in transgenic potato plants, Arch. Virol. 2002, 147, pp: 1263-1270

Richter LJ.: Production of hepatitis B surface antigen in transgenic plants for oral immunization, Nat. Biotechnol., 2000, 18, pp: 1167-1171

Richter L.: Transgenic plants created for oral immunization against diarrheal diseases, J. Travel. Med., 1996, 3, pp: 52-56

Salmon V.: Production of human lactoferrin in transgenic tobacco plants, Protein Expr. Purif., 1998, 13, pp: 127-135

Satyavathi VV: Expression of hemagglutinin protein of Rinderpest in transgenic pigeon pea [Cajanus cajan ] plants, Plant. Cell. Rep., 2003, 21, pp: 651-658

Tacket CO.: A review of oral vaccination with transgenic vegetables, Microbes. Infect., 1999, 1, pp: 777-783

Tuboly T.: Immunogenicity of porcine transmissible gastroenteritis virus spike protein expressed in plants, Vaccine, 2000, 18, pp: 2023-2028

Zeitlin L.: A humanized monoclonal antibody produced in transgenic plants for immunoprotection of the vagina against genital herpes, Nat. Biotechnol., 1998, 16, pp: 1361-1364