venerdì 1 gennaio 2010

Inchiesta: La verità giù negli abissi

È partita la corsa a ridimensionare le

rivelazioni dei pentiti a proposito del

traffico di rifiuti tossici. Mossa numero

uno: negare che il relitto trovato nelle

acque di Cetraro sia quella dei veleni

Lo scorso settembre, nel contesto dell'inchiesta della procura di Paola sulle 'navi a perdere', un piccolo robot sottomarino individuava un relitto adagiato a 480 metri di profondità sul fondale marino antistante il centro calabrese di Cetraro. Uno squarcio nello scafo evidenziava anche la presenza di alcuni fusti al suo interno: particolare che permetteva di ipotizzare trattarsi di una delle decine di navi misteriosamente sparite nel Mediterraneo col loro carico di veleni. Nel caso specifico la Cunsky. Le coordinate del suo naufragio erano state fornite ai magistrati da Giuseppe Fonti, un pentito della 'ndrangheta che si era assunto la responsabilità di aver affondato tre navi nel 1992. Dopo anni e anni di indagini sembrava insomma che per la prima volta una nave fantasma avesse un corpo: o meglio un corpo di reato!

Ma a fine ottobre iniziava il balletto delle smentite: non era la Cunsky. Era la Cagliari, per il procuratore antimafia Piero Grasso, prontamente smentito dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che ufficializzava trattarsi invece del Catania, piroscafo affondato da un sommergibile tedesco nel 1917. Caso chiuso! E la notizia scompariva dalle pagine dei giornali, quasi che a una dichiarazione ufficiale dovesse corrispondere un atto di fede. Ma il caso Cunsky, e ciò che rappresenta, non è affatto chiuso! Così come non è necessariamente stato discreditato Giuseppe Fonti.

E questo essenzialmente perché mancanza di corpo di reato non implica assenza di reato. E poi perché non tornano i conti. Pare non corrispondano le coordinate geografiche dell'affondamento delle due navi, le caratteristiche tecniche delle stesse e nemmeno le immagini. E pare che, alle coordinate fornite, gli abissi marini nascondano almeno tre relitti. E poi altri particolari che alla fine non contano comunque.

E non contano perché il problema resta anche nel caso in cui il relitto sommerso sia quello del Catania. Così come restano le decine di navi misteriosamente affondate, per una sola delle quali, la Rigel, si è arrivati a sentenza: una sentenza del novembre 1992 che parla inequivocabilmente di 'naufragio doloso' anche in assenza di corpo del reato1. Ma parla di naufragio finalizzato alla riscossione del premio assicurativo: un misfatto minore, probabilmente di copertura e come tale mirato a depistare gli inquirenti in caso di inchiesta. Scoprire un primo reato infatti non incentiva a cercarne un altro. Non fosse così, avrebbe destato maggior sospetto la composizione del carico della Rigel, così descritto in un passaggio della sentenza: “Il... omissis... spedisce sulla Rigel ben 61 containers dichiaratamente pieni di materiale ferroso del valore di 3 miliardi e mezzo, in realtà contenenti blocchi di cemento per un valore, da lui stesso dichiarato, non superiore ai dieci milioni.” E il cemento è materiale solitamente usato per schermare le radiazioni.

È solo un ipotesi, naturalmente. Forse, il signor 'omissis' in questione, voleva solo spendere una fortuna per spedire cemento a Cipro, dove non ne esiste notoriamente...

Per quel viaggio la Rigel era stata noleggiata alla Fjord Tankers Shipping2, già armatrice della famigerata Lynx, la 'nave dei veleni' che nel gennaio 1987 aveva scaricato in Venezuela rifiuti tossici di provenienza italiana. Stesso armatore dunque sia per l'inabissamento doloso di un mercantile che per il contemporaneo trasporto di sostanze pericolose in paesi terzi. E infatti lo smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi non avveniva solo tramite l'affondamento di 'navi a perdere', ma anche spedendo gli stessi all'estero via mare: non ipotesi investigative, ma fatti documentalmente provati.

Gli inquirenti hanno messo tanto l'affondamento della Rigel quanto i viaggi delle navi dei veleni in stretta relazione all'attività della Oceanic Disposal Management (Odm), società che faceva capo a Giorgio Comerio, ingegnere italiano il cui progetto prevedeva l'incapsulazione di scorie nucleari in contenitori a forma di siluri, da sparare nei fondali marini a una profondità di circa 4000 metri. L'ingegnere era sospettato dal nucleo operativo dei carabinieri di Reggio Calabria di essere il Deus ex machina di tutta l'attività di smaltimento illecito di materiale nucleare, sia a livello nazionale che internazionale. Un po' troppo per un uomo solo...

Comerio, dal canto suo, ha dichiarato di aver agito solo a livelli governativi e ha sostenuto che il suo progetto era finanziato dalla Cee. Recita al riguardo il rapporto del nucleo operativo dei carabinieri:“Per l'attuazione del suo programma Comerio ha dovuto investire ingenti capitali, reperiti in parte dal traffico d'armi e in parte da finanziamenti pubblici da parte di organi elettivi europei e internazionali.”

Nel suo memoriale3 Francesco Fonti ha raccontato di aver incontrato personalmente Giorgio Comerio e ha rivelato, forse senza rendersene conto, altri particolari che riconducono alla sua rete. Ha dichiarato, ad esempio, che nel 1987 un boss della 'ndrangheta era stato contattato da un dirigente dell'Enea di Rotondella, che aveva necessità di disfarsi di 600 fusti di sostanze presumibilmente radioattive: materiale che, secondo il suo racconto, sarebbe stato trasportato in Somalia con la nave Lynx. Quanto al compenso pattuito per l'operazione:“Proveniva dal conto Whisky della Banca della Svizzera italiana di Lugano. Il faccendiere Marino Ganzerla mi diede appuntamento nella stessa Lugano e mi pagò in contanti per conto del dirigente dell'Enea...”

Nel memoriale il nome di Marino Ganzerla sarebbe riaffiorato, sempre nel ruolo di ufficiale pagatore, nel contesto di una successiva analoga operazione del 1993. All'epoca si trattava di smaltire, sempre per conto dell'Enea, mille bidoni di sostanze radioattive, poi trasportate in Somalia con due pescherecci della Shifco, la società che gestiva la flotta sulla quale stava indagando Ilaria Alpi all'epoca della sua morte.

Curioso... nel 1993 Marino Ganzerla era azionista della Odm, per quanto personaggio poco noto che aveva oltretutto agito per contro terzi. In una sua spontanea deposizione resa alla Procura di Reggio Calabria il 14 luglio 1995 aveva dichiarato:“Dieci anni fa venni a conoscenza del progetto di affondamento di navi cariche di rifiuti.... Ricordo che si diceva che le coste dello Ionio erano preferite non solo perché gestite dalla 'ndrangheta, ma anche perché i marinai, una volta arrivati a terra con le scialuppe, affidavano detti mezzi di salvataggio a soggetti del luogo che provvedevano a occultarle....”

Dalle indagini di Greenpeace è emersa un’organizzazione internazionale ben collaudata: dotata di basi operative

e con una struttura finanziaria che si articola tra la Svizzera e l’Inghilterra.

Con dieci anni di anticipo Ganzerla avvalorava dunque la dichiarazioni di Francesco Fonti. Ci auguriamo comunque che il pentito abbia mentito o si sia sbagliato, perché in caso contrario un azionista della Odm avrebbe pagato la 'ndrangheta per conto dell'Enea, e quindi per conto dello Stato, per commettere atti delittuosi. E in discussione sarebbero eventuali collusioni istituzionali con la criminalità organizzata.

Interessante al riguardo è la dichiarazione rilasciata il 27 luglio 2004, in risposta a un'interpellanza parlamentare, da Carlo Giovanardi, all'epoca ministro per i Rapporti col Parlamento: “Numerosi elementi indicano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio...”

Dalle indagini di Greenpeace è emerso che l'ingegnere agiva con la collaborazione di una rete di personaggi collocati all'interno di un’organizzazione internazionale ben collaudata: un’organizzazione dotata di basi operative e di una struttura finanziaria articolata fra la Svizzera e l'Inghilterra. Ma vediamo allora in che mari pesca la rete Odm, seguendo solo uno dei suoi molteplici filoni investigativi.

Dalla documentazione sequestrata dagli inquirenti era emerso il ruolo di Filippo Dollfus, azionista Odm e amministratore della Fitrade Ltd, società londinese costituita nel 1993. Il suo nome originario era Piergate Investments Ltd, e come tale era stata registrata l'anno precedente dall'avvocato inglese David Mills per conto di Cmm Secretaries ltd4. Oltre a Dollfus, nel consiglio di amministrazione di Fitrade sedevano Tanya Manyard, il braccio destro di David Mills, e Margaret Carrington, consigliera a sua volta della Technological Research and Developmnet Ltd (Trd) con l'avvocato luganese Marco Gambazzi, che ne era anche azionista, sia pure con una sola azione5.

Incorporata nel 1981 da David Mills presso Cmm6, nel 1988 la Trd aveva spedito a diverse società italiane una lettera con la quale reclamizzava la propria disponibilità a smaltire rifiuti in Africa, descrivendo la capacità di deposito delle scorie nell'ordine di milioni di tonnellate7.

Marco Gambazzi era stato il gestore del conto Whisky acceso presso la Banca della Svizzera Italiana (Bsi) di Lugano, conto sul quale nel 1993 era transitata la maxi tangente Enimont. Vale la pena di ricordare che, secondo Francesco Fonti, il suo compenso proveniva proprio dal conto Whisky della Bsi, banca con la quale il finanziere luganese Tito Tettamanti aveva un filo diretto, oltre a detenerne il 10% di capitale8. Ed è la sua Fidinam la finanziaria che nel 1988 aveva spedito a ditte svizzere e tedesche lettere con le quali proponeva l'esportazione di rifiuti industriali in Africa9, lettere del tutto analoghe a quelle spedite dalla Trd: una combinazione quantomeno curiosa....

Uomo di fiducia del barone Elie de Rotschild, fino al 1995 Gambazzi era stato presidente della Geam Sa, società di Lugano azionista della messinese Cantieri Navali Rodriquez, uno dei cui managers era Gaetano Mobilia, peraltro genero del fondatore Leopoldo Rodriquez. Mobilia era membro del consiglio di amministrazione della Sistemi Ambientali di La Spezia, la società che aveva gestito la discarica di Pitelli, dove si sospetta sia finita parte della diossina prodotta dall'incidente della Icmesa di Seveso. La società faceva capo a Orazio Duvia, quel 'Re Mida' dei traffico dei rifiuti che aveva trasformato il 'golfo dei poeti' in 'golfo dei veleni'.

Azionista della Sistemi Ambientali era Romano Tronci, già direttore generale fino al luglio 1996 della De Bartolomeis, società di ingegneria impiantistica di Milano10. Ed ecco cosa emerge dalle dichiarazioni rese alla Commissione Parlamentare sul ciclo dei rifiuti il 22 luglio 1998 da Biagio Insacco, sostituto procuratore antimafia di Palermo: “Abbiamo verificato che una grossa società come la De Bartolomeis ha intrattenuto rapporti, costituendo società, con soggetti riconducibili a Cosa Nostra... In passato la De Bartolomeis ha avuto rapporti con la Termomeccanica...”

E, secondo Greenpeace, la Termomeccanica aveva avuto rapporti con Celtica Ambiente, società centrale alla rete Odm. Altra società del Duvia era la Contenitori Trasporti, a sua volta azionista al 50% della Transfermar di Ferdinando Cannavale11, imprenditore iscritto, come peraltro Duvia, alla loggia massonica Mozart: un nome non nuovo agli inquirenti. Era già emerso dalle denunce di Nunzio Perrella, il primo camorrista pentito che all'inizio degli anni novanta aveva segnalato ai magistrati le connivenze istituzionali con il clan dei casalesi nella spartizione degli utili derivanti dallo smaltimento illecito dei rifiuti. Uno scandalo all'epoca archiviato con l'assoluzione in appello degli imputati e quasi vent'anni dopo riesploso nella vicenda giudiziaria di Nicola Cosentino, il sottosegretario all'Economia oggi imputato di presunto concorso esterno in associazione mafiosa, e sempre con il clan dei Casalesi.

Ora i magistrati dovranno riesaminare una storia già ricostruita nel 1993 dal nucleo operativo dei carabinieri di Napoli nel contesto di un'inchiesta denominata Adelphi. E tutto questo mentre un altro pentito, Giuseppe Fonti, denuncia le collusioni di apparati istituzionali con la calabrese 'ndrangheta sempre nel campo dello smaltimento illecito dei rifiuti. È forse questa la storia che deve restare insabbiata nei fondali marini con le navi dei veleni, quale che sia il loro nome?

Germana Leoni

Note:

1 Dalla sentenza del Tribunale di La Spezia.

2 Proprietaria era la May Fair Shipping di Malta, che l'aveva noleggiata alla Fjord Tankers Shipping di Cipro, che a sua volta l'aveva sub-noleggiata. Ma nella sentenza la complicità della Fjord Tankers è accertata, anche a causa di un versamento effettuato sul suo conto presso la First National Bank of Chicago di Ginevra.

3 Il memoriale è stato pubblicato dal settimanale l'Espresso già nel 2005

4 La Rete – rapporto di Greenpeace – settembre 1997

5 Ibid

6 Ibid

7 Copia della lettera acquisita

8 Il Mondo – 'Banca delle mie brame' – di Massimo Novelli – 8 febbraio 1988

9 La Rete – Rapporto di Greenpeace – settembre 1997

10 Dal resoconto della Commissione Parlamentare sul ciclo dei rifiuti – seduta del 6 ottobre 1999

11 Relazione della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti approvata il 2 luglio 1998.